Franco Giraldi [Comeno, Gorizia, 1931] comincia come critico cinematografico de L’Unità, esordisce nel cinema come aiuto regista, collabora a film impegnati socialmente [Giovanna, Uomini e lupi, Un ettaro di cielo, La strada lunga un anno, Il gobbo, Laura nuda, Tiro al piccione…] e realizza alcuni buoni documentari [La Trieste di Svevo, Il Carso…]. Si fa le ossa come direttore della seconda unità di film di grande successo nei generi peplum e spaghetti western, che vanno per la maggiore nei primi anni Sessanta. Tra le regie della seconda unità ricordiamo: Romolo e Remo [1961] e Il figlio di Spartacus [1962] di Sergio Corbucci, I malamondo [1963] di Paolo Cavara, La costanza della ragione [1963] di Pasquale Festa Campanile, Per un pugno di dollari [1964] di Sergio Leone, Massacro al grande Canyon [1964] di Sergio Corbucci e Alfredo Antonini. Tra tutte risulta importante la preziosa collaborazione con Sergio Leone [Per un pugno di dollari, 1964], utile nei suoi primi lavori di taglio western come Sette pistole per i Mac Gregor [1966], Sette donne per i Mac Gregor [1967], Sugar Colt [1967], Un minuto per pregare… un istante per morire [1968], firmati spesso con lo pseudonimo anglofono di Frank Garfield.
Sette pistole per i Mac Gregor [1966] si avvale della sceneggiatura di Fernando di Leo [si firma Fernando Lion], già collaboratore di Sergio Leone, Duccio Tessari e Vincent Eagle [alias Enzo Dell’Aquila]. Si tratta del classico spaghetti western senza grandi ambizioni, che racconta la storia di sette fratelli incarcerati ingiustamente che evadono di galera per dare la caccia a uno sceriffo corrotto. Sette donne per i Mac Gregor [1967] è il sequel del precedente, narra la caccia a un bandito che ha rubato l’oro alla famiglia Mac Gregor. La pellicola – girata in Spagna – anticipa il western comico e farsesco che sarà di tipico della coppia Bud Spencer–Terence Hill. Le musiche di Ennio Morricone sono le stesse utilizzate in Per un pugno di dollari, gli sceneggiatori sono ancora una volta Fernando di Leo ed Enzo Dell’Aquila. Il film non è firmato Frank Garfield nelle copie italiane che per la prima volta mostrano il vero nome del regista.
Sugar Colt [1967] è il western più originale di Giraldi, che si firma con il suo nome e si avvale di sceneggiatori come Sandro Continenza, Fernando di Leo, Augusto Finocchi e Giuseppe Mangione. Ottime musiche di Luis Bacalov. Tra gli attori ricordiamo Soledad Miranda, musa ispiratrice di Jess Franco, morta giovanissima. L’originalità della pellicola risiede nel tentativo di miscelare western, commedia e anticipazioni di Vietnam-movie. Il film è ambientato al termine della guerra di secessione. Sugar Colt è un finto medico, in realtà agente governativo con l’incarico di indagare sulla sorte di un battaglione nordista imprigionato da un vendicativo sudista. Tra le trovate migliori della pellicola ricordiamo Sugar Colt che mette su una scuola per insegnare alle donne a sparare. Molte sequenze sono girate alla perfezione e il finale non si dimentica. Un minuto per pregare… un istante per morire [1968], noto anche come Escondido, è un western dal volto umano che racconta le vicissitudini di un bandito in cerca di redenzione, intenzionato a comportarsi come tutti gli altri uomini. Purtroppo viene ucciso da due cacciatori di taglia inconsapevoli del provvedimento di grazia emanato da un giudice. La figura dell’eroe tormentato, diventato fuorilegge non per sua colpa, è ben delineata. Ultimo western di Giraldi, che si firma con il nome italiano, collabora con gli sceneggiatori Ugo Liberatore, Alfredo Antonini e Louis Garfinkle, e utilizza un buon cast, ma la pellicola non è del tutto convincente. Colonna sonora di Carlo Rustichelli.
Il cinema più importante di Franco Giraldi, caratterizzato da un taglio personale, attenzione ai toni sfumati, alle psicologie dei personaggi e ai contenuti più qualificati, comincia con La bambolona [1968]. Il cast della pellicola è composto da Ugo Tognazzi, Isabella Rei, Lilla Brignone, Corrado Sonni, Margherita Guzzinati, Susy Andersen, Filippo Scelzo, Ignazio Leone. Il soggetto è tratto dal romanzo omonimo di Alba De Cespédes. La sceneggiatura è di Ruggero Maccari e Franco Giraldi. La colonna sonora è di Luis Bacalov.
Il maturo avvocato Giulio Broggini [Tognazzi] si invaghisce della formosa diciassettenne Ivana [Rei], recita la parte del fidanzato davanti agli interessati genitori [Brignone e Sonni], che fiutano la possibilità di vedere debiti pagati e figlia sistemata. La sua vita da scapolo impenitente, frequentatore di donne dell’alta borghesia, è sconvolta da un’improvvisa passione per una popolana, non troppo bella, una donna di cui “si vergognerebbe in pubblico”, ma della quale non può fare a meno. La ragazza è la più scaltra di tutti, perché ha capito che l’avvocato vuole solo portarsela a letto. Finge apatia, non concede niente al fidanzato e architetta un piano con la complicità di un coetaneo. A un certo punto pensa addirittura di uccidere l’avvocato e di entrare nella sua casa per derubarlo. Alla fine si accontenta di un anello da due milioni di lire e inventa una gravidanza indesiderata che le frutta un altro milione per pagare il medico e il suo silenzio.
Franco Giraldi gira la sua prima pellicola personale adattando insieme a Ruggero Maccari il romanzo omonimo di Alba de Cespédes. La bambolona è una satira di costume, malinconica e amara, ma al tempo stesso presenta elementi di commedia sexy, a tratti morbosa e ai limiti del taglio censura per il periodo storico. Giraldi costruisce un film interrotto da interessanti parti oniriche che rappresentano gli incubi e le paure ancestrali del protagonista. Il regista inserisce il tema dell’omosessualità con il personaggio di un cameriere gay, timoroso che venga scoperta una relazione con un presunto nipote. Molte le sequenze sexy: fugaci carezze sotto il tavolo, baci rubati, mani che si infilano nella scollatura e si spingono ad alzare la gonna. Una sequenza a teatro, durante Il barbiere di Siviglia è una vera e propria parte a rischio censura. La macchina da presa insiste sulle gambe della Rei, inquadra calze sotto il vestito, baci appassionati e scollature appariscenti.
Giraldi stigmatizza una certa Italia repressa dal punto di vista sessuale, ma anche i desideri proibiti e i vizi dell’alta borghesia. “Non ci sarebbero puttane se non ci fossero porci disposti a pagare”, è la filosofia della pellicola espressa da Isabella Rei nel rocambolesco finale. Uno zio inesistente è il protagonista delle parti oniriche, durante le quali Tognazzi lo immagina amante e rivale, ma anche impegnato a studiare le sue vere intenzioni. Molto felliniana la parte onirica con la danza delle cento donne che si potrebbero comprare al posto di un anello da due milioni. La musica di Luis Bacalov introduce una sequenza di seni nudi e di lunghe gambe di figuranti e comparse.
Ugo Tognazzi è il mattatore della pellicola, regala una grande interpretazione, aggiornando il personaggio innamorato di una lolita, protagonista de La voglia matta [1962] di Luciano Salce, pellicola più riuscita e dotata di maggiore ironia. Isabella Rei – per la prima volta sullo schermo – non è da meno, nella parte di una diciassettenne apatica e assente, che finge di stare al gioco del fidanzamento, ma organizza una trama per far cadere il maturo pretendente. Bravi anche Lilla Brignone e Corrado Sonni, come laidi genitori che pensano soltanto al denaro, a risolvere i problemi economici e a piazzare la figlia nel mondo della borghesia.
Cuori solitari [1970] è un’altra interessante commedia erotica interpretata da Ugo Tognazzi, Senta Berger, Silvano Tranquilli, Gianna Serra, Christopher Hodge, Piero Mazzarella, Clara Colosimo, Edda Di Benedetto e Orso Maria Guerrini. Giraldi sceneggia il film con la collaborazione di Ruggero Maccari, critica ancora una volta la classe borghese dipingendo un laido proprietario di una bella casa sul lago di Como [Tognazzi] che per ingannare la noia del quotidiano propone alla moglie [Berger] di provare l’ebbrezza dello scambio di coppie. La commedia vive i momenti migliori nella parte in cui i coniugi tentano di scegliere i candidati al ruolo, perché si presentano una serie di soggetti mostruosi e inaffidabili. Il dramma si fa interessante nel finale, dopo l’ultima esperienza, quando la compagna pare prenderci gusto e per il borghese annoiato non sarà facile tornare alla detestata routine. La moglie, infatti, si innamora dell’uomo con cui stanno provando a realizzare lo scambio di coppia e il marito cerca di correre ai ripari troncando la relazione. Il meccanismo filmico di Giraldi è simile a quello intrapreso ne La bambolona, perché si tratta di una commedia di costume per criticare la borghesia, i vizi privati e le pubbliche virtù, insistendo nella descrizione di una società ipocrita e corrotta. Non mancano i rivoluzionari di maniera tipici del periodo storico. Franco Giraldi riesce a mettere in scena la crisi della coppia e – tra alti e bassi – descrive a dovere la monotonia del rapporto matrimoniale. La colonna sonora è di Luis Bacalov, mentre il montaggio è di Franco Arcalli. La pellicola deve molta della sua forza alla grande interpretazione di Ugo Tognazzi e Senta Berger.
La supertestimone [1971] è un film di grande successo dal genere indefinibile, perché i toni comici si stemperano in malinconia e diventano dramma. Grande cast: Ugo Tognazzi, Monica Vitti, Orazio Orlando, Véronique Vendell, Nerina Montagnani e Franco Balducci. Il soggetto è di Luisa Montagnani, la sceneggiatura di Tonino Guerra e Ruggero Maccari, la fotografia di Carlo De Palma, le musiche sono dell’esperto Luis Bacalov. Tognazzi è perfetto nella parte di un pappone condannato per omicidio e incastrato dalla testimonianza decisiva di una zitella, magistralmente interpretata da Monica Vitti. A un certo punto la donna si convince di essersi sbagliata, scagiona il magnaccia e lo sposa, ma la sua fine è quella di andare a battere sul marciapiede. La donna comprende sulla sua pelle di aver sbagliato tutto, perché l’uomo che ha sposato è un omicida e uno sfruttatore. La forza della pellicola sono i personaggi grotteschi, che il regista rende credibili, anche grazie a una sapiente sceneggiatura.
Gli ordini sono ordini [1972] sfrutta ancora una volta la bravura di Monica Vitti come attrice comica, ma anche il resto del cast è importante: Orazio Orlando, Luigi Proietti, Claudine Auger, Luigi Diberti, Corrado Pani ed Elsa Vazzoler. Monica Vitti è perfetta nei pani della casalinga frustata, sposata con un bancario veneto e insoddisfatta della vita che conduce. A un certo punto sente una voce del subconscio che la convince a concedersi a sconosciuti e la spinge a tradire il marito. Le azioni della donna sono in apparenza insensate, ma volute dalla sua parte più recondita. Il marito non sopporta più quella situazione e i due finiscono per lasciarsi, ma la donna incontra sulla sua strada uomini che non sono migliori del coniuge. Lo scultore interpretato da Luigi Proietti sembra un intellettuale aperto e rispettoso della sua autonomia, ma dopo un po’ di tempo si mostra nella sua vera essenza, cerca di modificare il carattere della donna e la fa scappare. Il marito si riavvicina alla moglie, vorrebbe farla tornare a casa, ma la scelta finale della donna sarà quella di stare da sola. Gli sceneggiatori sono ancora una volta Tonino Guerra e Ruggero Maccari, ma il soggetto deriva da un racconto di Alberto Moravia contenuto nella raccolta Il paradiso. Non è uno dei migliori film di Giraldi, perché la sovrastruttura femminista – di moda nel periodo storico – fa perdere freschezza alla pellicola. Per fortuna Monica Vitti evita di prendersi sul serio e imposta il personaggio con toni farseschi che salvano l’aspetto comico – ludico di un film tutto sommato godibile.
La rosa rossa [1973] è una pellicola storica prodotta dalla RAI per il cinema ma poco distribuita, interpretata da Alain Cuny, Antonio Battistella, Elisa Cegani, Margherita Sala, Susanna Martinkova e Giampiero Albertini. La storia è tratta da un romanzo del mistero di Antonio Quarantotti Gambini e Giraldi ne ricava un buon affresco d’epoca che compone con ironia l’elegia dei sentimenti. La storia è ambientata nel periodo tra le due guerre, in un paese friulano dove fa ritorno un nobile ufficiale partito trent’anni prima. La pellicola è basata sui ricordi ma il più intenso è quello di una rosa rossa che una donna innamorata metteva ogni giorno nella camera dell’ufficiale. Quando il gesto si ripete a distanza di anni, l’uomo muore, ma resta ignoto il nome della misteriosa amante. Colonna sonora del grande Luis Bacalov.
Colpita da improvviso benessere [1976], noto anche come Mercati generali, è un’altra interessante commedia con venature erotico – sociali interpretata da Mario Carotenuto, Franco Citti, Giovanna Ralli, Alesandra Vazzoler, Glauco Onorato e Stefano Satta Flores. Il soggetto è di Barbara Alberti e Amedeo Pagani, sceneggiato da Ugo Pirro e Carlo Vanzina. Molto brava Giovanna Ralli nei panni di Betty, la pescivendola che studia ogni mezzo pur di vincere la concorrenza, non disdegnando manovre illecite. Vende pesce guasto e truffa i rivali, ma in questo modo viene colpita da improvviso benessere, che però dura poco. Perde il banco ai mercati generali, anche se era diventata amante di un ispettore sanitario per evitare i controlli. Il funzionario integerrimo non si lascia corrompere e la denuncia. Franco Giraldi realizza un’ultima convincente opera cinematografica che anticipa i tempi del consumismo sfrenato, delle frodi alimentari e degli imprenditori disposti a tutti pur di far soldi. Il film è una commedia all’italiana, resa piccante da brevi parti erotiche, ma soprattutto è una satira feroce del consumismo e della corruzione italica. Gli attori sono bravissimi: Giovanna Ralli è una pescivendola perfetta, ma anche Franco Citti è un amante senza sbavature, anarchico e surreale, piange dopo aver visto Sacco e Vanzetti, schiaffeggia i preti sotto il monumento di Giordano Bruno. Le musiche sono ancora una volta di Luis Bacalov.
A questo punto Franco Giraldi comincia a dedicarsi alla televisione, realizza sceneggiati, documentari e film per il piccolo schermo come Il lungo viaggio [1975], Un anno di scuola [1976], La città di Zeno [1977], La giacca verde [1979], Accadde a Weimar [1982], Mio figlio non sa leggere [1983], Il corsaro [1984], L’addio a Enrico Berlinguer – Ciao Enrico [1984], Il corsaro [1985], Tre vite parallele [1985], La fronda inutile. Ciano, Bottai e Grandi[1986], Rosa. Quattro storie di donne [1987], Nessuno torna indietro[1988], Isabella la ladra [1989], Una vita in gioco [1990], La bugiarda [1990], L’avvocato Porta [1997 – 1999], Pepe Carvalho[due episodi del 1999], Un altro mondo è possibile [2001], Firenze, il nostro domani [2003].
Ricordiamo tra i migliori lavori televisivi Un anno di scuola [1976], tratto dai Racconti [1929] di Giani Stuparich, premio per la miglior regia e della critica al Festival di Praga, capace di raccontare lo stupore che una classe maschile prova all’arrivo della prima studentessa. Il regista racconta la sua terra e compone un mirabile affresco in tre puntate della Trieste di fine secolo. Degno di nota anche il documentario La città di Zeno [1977], che rende omaggio a Italo Svevo e a Trieste, come già aveva fatto nel 1962 con un cortometraggio dedicato allo scrittore istriano. La giacca verde [1979] è tratto da un racconto di Mario Soldati ed è ambientato nel ventennio fascista. Il corsaro [1985] è interpretato magistralmente da Philippe Leroy e porta sul piccolo schermo per tre puntate la storia del bucaniere Peyrol in lotta contro gli inglesi durante le guerre napoleoniche. La bugiarda[1990] è interessante, perché si tratta del remake televisivo della commedia cinematografica di Luigi Comencini [1965], interpretata da Catherine Spaak. Francesca Dellera, purtroppo, non ha molto in comune con l’attrice che l’ha preceduta e l’operazione risulta fallimentare.
L’avvocato Porta [1997 – 1999] è una delle cose migliori realizzate da Giraldi per la televisione, perché sfrutta le caratteristiche peculiari di Luigi Proietti e Ornella Muti. La storia è una commedia garbata con toni di giallo che racconta le vicissitudini di un avvocato delle cause perse e le sue sbandate amorose. Toscano e Marotta sono gli sceneggiatori, che si ripetono per le nuove avventure – sempre su Canale 5 – dove l’avvocato cialtrone Proietti è affiancato da Maria Grazia Cucinotta. Pepe Carvalho [1999], invece è un fallimento estivo, sottolineato dalla presenza di Valeria Marini nel cast. Giraldi firma due episodi della serie programmata su Rai Due.
La frontiera [1997] è un modesto lavoro per il cinema, tratto dal romanzo di Franco Vegliani, ma ridotto a ben poca cosa in una riduzione interpretata da attori poco in forma come Raoul Bova e Marco Leonardi. Altri interpreti: Claudia Pandolfi, Giancarlo Giannini, Omero Antonutti, Werner Egger. Si tratta di una pellicola bellica, ambientata nel 1941, in un’isola dalmata diventata territorio italiano. Niente di memorabile.
Voci [2002] è l’ultimo dimenticabile film di Franco Giraldi per il cinema, interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, Miki Manojlovic, Gabriella Pession, Gabriele Lavia, Sonia Bergamasco, Rossella Bergo, Imma Piro, Erika Blanc e Franco Diogene. Un film fuori dalle vecchie corde cinematografiche di Giraldi, ma vicino ai lavori televisivi di taglio noir e thriller, tratto da un romanzo anonimo di Dacia Maraini e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Serena Brugnolo, Alessio Cremonini e Chiara Laudani. Niente di memorabile, un giallo inconcludente con protagonista una giornalista che hanno visto in pochi, un prodotto che ricorda le peggiori fiction televisive.
Franco Giraldi resta un regista interessante, che non ha realizzato molti film per il grande schermo e a un certo punto della sua carriera ha preferito la più comoda strada televisiva. La sua commedia, venata di blando erotismo, è attenta ai caratteri e alla psicologia dei personaggi, ma soprattutto cerca di mettere alla berlina vizi italici e corruzione borghese.
Gordiano Lupi