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RIFKIN’S FESTIVAL di Woody Allen

Il 48esimo film di Woody Allen è già entrato nei nostri cuori. Certamente non per il suo valore cinematografico e neppure per il significato profondo sul quale si basa. Ma più semplicemente perché Rifkin’s Festival è il film simbolo della riapertura delle sale nel nostro Bel Paese.

Poco importa se la pellicola in questione è un prodotto minore della filmografia del regista di New York. Se si mostra da subito come un giochino intellettuale per cinefili, chiuso in una sceneggiatura fin troppo schematica. Tutti questi limiti sono nulla di fronte al piacere di acquistare un biglietto, sedersi in sala e attende che le luci si spengano per vedere il nuovo film di un Maestro del cinema. Questo piacere rende l’ultima fatica di Woody Allen un evento cinematografico enorme, che ci riconnette con l’autenticità della settima arte e a quel rito collettivo della condivisione contestuale del buio della sala.

Rifkin’s Festival racconta la storia di Sue, ufficio stampa cinematografica e Mort Rifkin, suo marito, docente in pensione e appassionato di cinema. I due decidono di trascorrere una vacanza in Spagna e prendere parte al Festival del cinema di San Sebastian. La coppia viene travolta dalla bellezza tipica della cittadina del nord della Spagna e dall’ammaliante magia del cinema che si respira durante l’evento.

Sue subisce maggiormente la seduzione della settima arte che la spinge a iniziare una relazione con il giovane e affascinante cineasta francese, nonché suo cliente, Philippe. La cosa fa perdere la testa all’ipocondriaco Mort, che convinto di avere problemi cardiaci si precipiterà in visita da un cardiologo e farà la conoscenza della dottoressa Jo Rojas. La donna, in crisi con suo marito Paco, adora i grandi classici e ha molte affinità con Mort. Così mentre Sue passa il suo tempo in compagnia di Philippe, tra Mort e Jo si crea un’amicizia sempre più profonda che farà riesplodere in Mort quella grande passione per il cinema classico che tanto amava.

Passione e malinconia, ricerca della felicità attraverso le piccole cose, serenità raggiunta con l’età, eppure ancora tanta voglia di vivere pianificando il futuro. Nonché lo smisurato amore che Allen prova per il cinema e per i grandi cineasti. Questo è ciò che si può facilmente rintracciare in Rifkin’s Festival che, tra le pieghe di un copione non particolarmente ispirato, consente al regista di Manhattan di assestare qualche colpo graffiate e poetico degno del suo nome.

Con l’utilizzo di fantasmagorie, incubi e sogni ad occhi aperti, Mort Rifkin invade capolavori del cinema come , Persona o Jules e Jim, perdendosi in un gioco tanto parodistico, quanto affascinante e sincero.

Viaggio meta-cinematografico reso prezioso dal lavoro magistrale di Vittorio Storaro che costruisce un “altrove” in bianco e nero malinconico e sognate.

Importantissimo poter godere di queste immagini sul grande schermo, ovvero nel modo in cui sono state concepite e realizzate. La vera ottima notizia resta questa: i cinema sono riaperti e proiettano il nuovo film di Woody Allen con la fotografia di Vittorio Storaro. Non si tratta un capolavoro, ma come ci ricorda Rifkin’s Festival la felicità è sapersi accontentare. Di questi tempi, poi…

Paolo Gaudio

RIFKIN’S FESTIVAL

Regia: Woody Allen

Con: Gina Gershon, Wallace Shawn, Louis Garrel, Christoph Waltz, Elena Anaya, Steve Guttenberg, Richard Kind, Damian Chapa, Enrique Arce, Georgina Amorós, Sergi López, Nathalie Poza, Manu Fullola

Uscita sala in Italia: 6 maggio

Sceneggiatura: Woody Allen

Produzione: Gravier Productions, Mediapro

Distribuzione: Vision Distribution

Anno: 2021

Durata: 92’

InGenere Cinema

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