Se il cinema dei supereroi, i cosiddetti cinecomics [o cinecomix], sia o no una materia idealmente affine con il modo italiano di raccontare storie [non solo su grande schermo], è una domanda che di tanto in tanto torna a farsi sentire, soprattutto da quando gran parte dei blockbusters americani più amati dal pubblico si sono legati a mondi immaginari tipici della cultura dei fumetti statunitensi raccogliendo input, personaggi e storie proprio dalle pagine disegnate.
La risposta sembrerebbe arrivare facilmente dalla nostra letteratura a fumetti e dai protagonisti che la popolano: antieroi, per lo più, eroi, magari, o parodie di questi ultimi, davvero distanti dai “supereroi con super-problemi made in USA. E se qualcuno cercasse di ricreare da zero un supereroe adatto alla nostra società, un uomo dotato di super poteri che, però, vive, respira, parla l’Italia di oggi, senza voler forzatamente scimmiottare i cugini americani? E se questo succedesse sullo schermo ancor prima che sulle pagine a fumetti?
È quello che succede in Lo chiamavano Jeeg Robot, lungometraggio d’esordio del regista Gabriele Mainetti, che insieme al sodale Nicola Guaglianone e con lo sceneggiatore-fumettista Menotti, prova a dare vita [con risultati eccellenti, vi anticipiamo…] a questo ibrido apparentemente impossibile, allontanandosi innanzitutto dalla paludosa sabbia mobile dell’imitazione in cui era caduto, ad esempio, Gabriele Salvatores con il goffo Il ragazzo invisibile.
Per farlo, Mainetti torna ancora una volta al mondo che più gli appartiene, quello formato negli anni dell’infanzia grazie ai cartoon anni ’80, organicamente incarnati nelle menti di quelli che definisce come la “generazione Bim Bum Bam”, di cui egli stesso fa parte.
Dopo aver portato in Italia Lupin III con il cortometraggio Basette e l’Uomo Tigre in Tiger Boy [2012], in Lo chiamavano Jeeg Robot, Mainetti da vita ad una storia molto sui generis di criminalità romana che si intreccia in modo indissolubile ad una decisamente più fantastica e al robotico eroe creato da Gō Nagai.
Enzo Ceccotti [un Claudio Santamaria imbolsito per l’occasione] è un ladro di borgata che, in quel di Tor Bella Monaca, si trascina tra piccoli furti e una tristissima vita privata fatta di budini alla vaniglia, film porno e solitudine. La sua vita cambia [in meglio?] quando, per sfuggire ad un inseguimento delle forze dell’ordine, è costretto a tuffarsi nelle acque del Tevere e finisce all’interno di un bidone che contiene un nerastro liquido radioattivo. Tornato a casa in preda agli spasmi e al dolore, l’uomo non sa ancora di aver acquisito dei superpoteri che lo rendono mostruosamente forzuto e resistente. Lo scoprirà l’indomani mattina, ma non per questo deciderà di cambiare la sua vita per mettersi al servizio dell’umanità. Tutt’altro!
Il mondo e la gente che lo circonda, e a cui lui appartiene, è quello della borgata più estrema e pericolosa della capitale, fatta di malaffare, di bande rivali e di traffici di stupefacenti. Enzo, naturalmente, vede nel suo nuovo stato solo un modo per innalzare la sua capacità delinquenziale e, magari, aspirare ad un vita più agiata fatta di più budini, più film porno e più solitudine.
Almeno fino a quando un suo vicino di casa non pensa di coinvolgerlo in un affare di droga gestito dal clan dello Zingaro [un grande Luca Marinelli], creandogli in poco tempo un’infinità di problemi: quello di dover badare ad Alessia [Ilenia Pastorelli], la sensuale figlia con problemi mentali dell’uomo, e quello di trovarsi al centro di una guerra tra la gang di Tor Bella Monaca e una ancora più pericolosa proveniente da Napoli.
Quello che riesce bene a Mainetti è proprio l’aver saputo dare a Lo chiamavano Jeeg Robot un sapore che ci appartiene, un suono familiare: il suo approccio al Genere procede per sapiente combinazione, non per accumulo smodato.
I personaggi, tutti tipi riconoscibili ma gonfiati fino a diventare irreali, vengono calati all’interno di un mondo assolutamente vero [quello della periferia romana] e di un periodo storico inventato ma credibile [una Capitale allo sbando vessata da invisibili bombaroli], e la storia ha il suo focus non tanto nella trasformazione del protagonista in supereroe [quello succederà, ma solo nell’ultimissima inquadratura], quanto in quella di uomo “vivo”, capace di rapportarsi con l’altro, di avere bisogni e desideri “altri”, che prescindano da quelli basilari e di pancia [il budino, il porno].
Il trio di protagonisti funziona alla grande e trova l’apice in un Marinelli eccessivo e a volte parodistico, nei panni di un grande e godibile villain. Molto buono anche il lavoro fatto sugli effetti speciali [anche su quelli in CGI].
Ora andate a dire a quelli di Lo chiamavano Jeeg Robot che non può esistere un supereroe tutto italiano…
Luca Ruocco
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LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT
Regia: Gabriele Mainetti
Con: Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli
Uscita in sala in Italia: giovedì 25 febbraio 2015
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti
Produzione: Goon Films, Rai Cinema
Distribuzione: Lucky Red
Anno: 2015
Durata: 118’