Archiviata la fortunata e redditizia pratica Twilight era piuttosto prevedibile che l’avventura in quel di Hollywood di Stephenie Meyer non fosse ancora giunta al capolinea. Del resto, la fabbrica dei sogni per antonomasia è da sempre abituata a battere il ferro finché è caldo e di certo non poteva per nulla al mondo farsi sfuggire dalle mani una gallina dalle uova d’oro come la scrittrice statunitense, che già prima di mettere in cassaforte il successo planetario, editoriale prima e cinematografico dopo, della celeberrima saga vampiresca, aveva già sfornato un nuovo romanzo pronto a fare breccia nei cuori dei teenagers di tutte le latitudini.
Stiamo parlando di The Host, il primo capitolo di una trilogia in work in progress [il sequel, già quasi terminato, si intitolerà The Soul, mentre un eventuale terzo libro ancora da scrivere potrebbe intitolarsi The Seeker], la cui trasposizione per il grande schermo approda nelle sale a distanza di cinque anni dalla pubblicazione del manoscritto. Inutile stare qui a sottolineare quali e quante assonanze drammaturgiche e narrative possano essere rilevate nei suddetti scritti, con la Meyer che, sportivamente parlando, deve aver sposato in tutto e per tutto la tattica: squadra che vince non si cambia.
Così, nonostante qualche cambiamento strutturale dal punto di vista del Genere e dei protagonisti, con il fantasy e i succiasangue che cedono il testimone alla fantascienza e agli alieni, la sostanza decisamente non cambia, a cominciare proprio dall’immancabile love story travagliata tra adolescenti di specie diverse intorno alla quale ruota e si sviluppa l’intera trama. Dunque, una volta carpiti e assecondati i gusti dei giovani lettori, non restava altro che replicare la stessa formula al cinema e così è stato [Moccia “docet”, e che Odino non ci scagli addosso un fulmine per averlo detto]. La medesima tattica alla quale deve avere aderito anche uno come Isaac Marion nel momento in cui ha “partorito” un libro come Warm Bodies, diventato di recente un film per la regia di Jonathan Levine.
A questo punto, non restava altro che individuare il regista più adatto alla trasposizione del romanzo, tenendo presente che la scelta da fare doveva per forza di cose rispondere a un identikit ben preciso, al quale corrispondeva una certa esperienza del candidato nel filone sci-fi. Scavando nei database, la scelta non poteva non ricadere su Andrew Niccol, senza alcun dubbio uno dei principali esponenti del cinema di fantascienza degli ultimi anni. Tre delle quattro pellicole da lui dirette in precedenza [sue le sceneggiature di The Terminal e The Truman Show], appartengono proprio al suddetto Genere.
Il risultato è una filmografia che, seppur povera di titoli, è piuttosto nota al pubblico e agli addetti ai lavori per l’impronta personale e fortemente riconoscibile del suo modo di fare e concepite lo sci-fi tanto sul versante della messa in scena, con un look che mescola elementi hi tech con arredi vintage, quanto dei contenuti proposti.
Sin dal debutto nel 1997 con Gattaca sino al recente In Time, passando per S1mOne, Niccol ha proposto alle platee una fantascienza piuttosto atipica, legata ad aspetti sociologici e psicologici, ambientata in un futuro prossimo in cui emergono nuove lotte di classe. Qui la lotta si consuma in un futuro non troppo lontano, combattuta tra invasori alieni e sopravvissuti di razza umana, con i primi che si ritrovano intrappolati nei corpi dei secondi, che a loro volta cercano di resistere per amore dei loro simili e per il destino del pianeta. Un dna narrativo che poteva prestare il fianco alle tematiche care a Niccol, pronto a innestare stratificazioni e sottotracce in grado di alzare di un paio di tacche il livello complessivo. In tal senso, The Host avrebbe potuto essere una possibilità concreta per il regista neozelandese per estendere il proprio target alle fasce più giovani, così come per la trasposizione del romanzo della Meyer, l’apporto dietro la macchina da presa di uno come Niccol avrebbe potuto essere l’opportunità per arricchire il testo di nuove e più sofisticate suggestioni tematiche e visive.
Il cineasta fa quello che può, cercando di trasferire i caratteri portanti del suo sguardo pseudo-futuribile alla pellicola, ma davanti alla pochezza drammaturgica messa a disposizione dal plot non può fare altro che issare bandiera bianca. Ne emerge un racconto lambiccato, confuso e fiacco, che strizza l’occhio a Essi vivono, Ultimatum alla Terra e soprattutto alla serie cult per il piccolo schermo Visitors. Il tutto animato da personaggi poco interessanti che nulla aggiungono al già visto, se non un tentativo andato fuori bersaglio di rivisitare in chiave extra-terrestre la turbolenta storia d’amore tra il Romeo e la Giulietta della situazione.
Francesco Del Grosso
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THE HOST
Regia: Andrew Niccol
Con: Saoirse Ronan, Diane Kruger, Max Irons, Chandler Canterbury, William Hurt
Data di uscita in Italia: giovedì 28 marzo 2013
Sceneggiatura: Andrew Niccol
Produzione: Nick Wechsler, Chockstone Pictures, Fickle Fish
Distribuzione: Eagle Pictures
Anno: 2013
Durata: 125’