Una vita vissuta al negativo, all’ombra dell’alcool e dell’auto-distruzione. Il poco amore per sé stessi conduce automaticamente Joe Doucett [un ottimo Josh Brolin] a farsi tanti nemici, a cominciare dalla propria ex moglie, o dal capo-ufficio.
Proprio per questo motivo l’uomo non sa a chi imputare la responsabilità del suo rapimento, dopo essersi svegliato da una brutta sbornia dentro la camera di una sorta di strano motel da cui è praticamente impossibile uscire.
Da quello strano e inspiegabile evento inizia la sua storia di metamorfosi e redenzione, un viaggio introspettivo forzato e interminabile che restituirà, solo dopo venti anni, un nuovo Joe al mondo. Un Joe irrobustito sia nel fisico che nel morale con, finalmente, una personale missione per la vita: trovare chi gli ha tolto la vita e, dopo aver assassinato sua moglie, ha gettato proprio su di lui l’ombra della colpevolezza, allontanandogli per sempre la possibilità di crescere accanto alla propria figlia.
Joe ritorna al mondo [rinasce, potremmo dire, in un prato verde, fuoriuscendo da un grosso baule], dopo aver acquisito scarse informazioni sul mondo esterno unicamente dal televisore presente nella stanza/cella, e una volta libero, con l’aiuto di un vecchio amico e di una ragazza conosciuta per caso [Elizabeth Olsen] a poche ore dalla fuga, dovrà tentare di dissetare la sua infinita voglia di vendetta contro un nemico che non ha ancora un volto.
Esistono remake e remake. E qui su InGenere abbiamo più volte avuto modo di affrontare, con questo o quel titolo, il nostro parere.
Ci piacciono i remake coraggiosi, quelli che hanno la voglia di tradire il proprio predecessore, proponendo varianti ardite ma organiche.
Non è questo, magari, il caso del film che stiamo presentando [anche se, qui pure alcune scelte più personali aprono piccoli nuovi orizzonti narrativi …], ma andiamo con ordine.
Spike Lee si prende carico di rielaborare una delle storie di vendetta più riuscite della storia del cinema, l’Oldboy del coreano Park Chan Wook, tratto dalla graphic novel di Garon Tsuchiya e Nobuaki Minegishi.
Il remake arriva in sala dopo una vita produttiva abbastanza dilungata, e potrebbe lasciare interdetti i più affezionati all’originale … Per noi sarebbe un grave errore.
Il film di Spike Lee, pur essendo congegnato come un rifacimento fin troppo fedele, è innanzitutto un’opera con una propria valenza filmica, e in più riesce a regalare alla storia di Tsuchiya e Minegishi un’estetica moderna e un ritmo fresco, nuovo.
L’utilizzo di una macchina a mano, di inquadrature stranianti che sovrastano il protagonista, nelle strade notturne, preludono ad una regia più monolitica nella stanza/cella, mentre il sangue e gli effetti sono ben più marcati di quanto non lo fossero nel film originale, a partire dalle ferite auto-provocatosi dal prigioniero in cella, come per appurare di essere ancora vivo, per arrivare alla vendetta che Joe mette in atto con il “direttore” dell’assurdo motel, Chaney [in questa nuova versione un Samuel L. Jackson sopra le righe], che da un’estrazione dentale messa in atto con un martello, passa al taglio e alla decurtazione di piccoli rettangoli di pelle dal collo, preludio di una lenta decapitazione …
La modernizzazione passa, ovviamente, anche per i mezzi mediali implicati nella storia: alla tv e al pc, già utilizzati nell’Oldboy di Wook, si aggiunge un I-phone di rito, moderna ombra dell’invisibile perseguitore.
La crudezza dell’oggi fa si che la storia d’incesto, su cui tutto si impernia, abbia un che di più esplicito e malato!
Un remake? Val la pena di vederlo.
Luca Ruocco
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OLDBOY
Regia: Spike Lee
Con: Josh Brolin, Elizabeth Olsen, Samuel L. Jackson
Uscita in sala in Italia: giovedì 5 dicembre 2013
Sceneggiatura: Mark Protosevich
Produzione: Vertigo Entertainment, 40 Acres and Mule
Distribuzione: Universal Pictures
Anno: 2013
Durata: 104’