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L’ULTIMO LUPO: conferenza stampa con il regista Jean-Jacques Annaud

L'ultimo lupo locandina[Roma – Cinema Adriano – Martedì, 24 marzo 2015]

[InGenere Cinema] I produttori cinesi di questo film sono venuti a cercarla: che cosa è successo da Sette anni in Tibet a L’ultimo lupo?

[JJA] Avevo letto il romanzo, trovandolo assolutamente straordinario, e alla lettura mi sono detto “È un vero peccato che io non possa andare in Cina per fare di questo romanzo un film”. Un po’ di tempo dopo si sono presentati da me dei signori sorridenti che venivano da Pechino, offrendomi di realizzare proprio questo film. Io li ho ringraziati dicendo loro “Mi dispiace, ma io non sono il benvenuto nel vostro paese” e loro mi hanno risposto “La Cina è cambiata e noi abbiamo bisogno di lei, non sappiamo in che altro modo possiamo realizzare questo film. Sappiamo che lei ama le minoranze, sappiamo che ama il lupo, sicuramente amerà la Mongolia e speriamo che ami anche noi”. E io mi sono fidato. Confesso che ogni giorno [questo progetto è iniziato nel 2007] a chiunque mi chiedesse “Come sta andando?” io avevo l’accortezza di rispondere “Finora tutto straordinariamente bene” e questo “finora” era scaramantico, perché temevo che qualcosa potesse cambiare. Invece non è cambiato assolutamente nulla, ho goduto della libertà più assoluta, ho scelto i luoghi, il cast, ho scritto io stesso la sceneggiatura, ho realizzato il montaggio, ho scelto il compositore per le musiche e nessuno ha avuto niente in contrario. Un mese prima della presentazione del film in Cina, a Pechino, ho ricevuto la visita del Ministro, che mi ha detto “Non si preoccupi dei risultati al botteghino, a noi il film piace moltissimo”. Credetemi, è raro sentirsi dire una cosa del genere, è qualcosa di inedito nella carriera e nella vita di un regista. Davvero, mai sentito nulla del genere prima d’ora.

L'ultimo lupo foto 4[InGenere Cinema] La Rivoluzione Culturale quanto ha influito sulla vita dei lupi? Cosa è stato peggio per loro, i cacciatori? La Rivoluzione Culturale? Qual è il più grande pericolo che hanno vissuto?

[JJA] La Rivoluzione Culturale ha generato una tale fame in tutto il paese che la preoccupazione era quella di rendere agricoli tutti i terreni. Hanno tentato di trasformare la Mongolia in un immenso terreno agricolo, ma naturalmente era impossibile farlo a causa dell’elevato numero di lupi. La Cina ha fatto esattamente la stessa cosa successa in Francia, vale a dire che il governo ha istituito un corpo militare dedito allo sterminio dei lupi. Esiste tuttora un ramo della gendarmeria con il compito di ucciderli.

È una tradizione in tutti i paesi che iniziano questa trasformazione agricola, quella di sbarazzarsi dei lupi. Uno dei motivi per cui ho amato il romanzo è l’universalità del tema. I problemi che si sono manifestati in Cina negli anni sessanta sono stati identici a quelli che abbiamo riscontrato noi in Francia o che sono avvenuti in Australia o in Canada. Il mio interesse nel realizzare questo film era proprio mostrare che questa storia, per quanto ambientata in Mongolia, in realtà rifletta tante situazioni analoghe in altri paesi.

[InGenere Cinema] I suoi film sono sempre girati in esterni. Da cosa nasce questo amore per la natura, per le storie non comuni che legano quasi sempre uomini e animali?

[JJA] Questo è il mio terzo film che ha come protagonisti gli animali, ma ho anche girato film con grandi star hollywoodiane, con giovani donne e con attori francesi. Per quanto riguarda il mio amore per la natura, è una cosa che ho sviluppato da bambino. Ricordo quanto ero felice di trascorrere del tempo nel giardino di casa e quanto mi piaceva durante le vacanze estive poter andare in campagna o andare al mare. Mi piaceva sentire il vento, la tempesta, la neve. Per questo motivo, quando sono alla ricerca di un soggetto per un film, istintivamente rimango attratto da storie ambientate in luoghi remoti e solitari, o in luoghi che mi fanno sognare, sperando di far sognare anche il pubblico insieme a me. La vita a volte è fatta di azzardi e di casualità.

Io ho scoperto il mondo animale esattamente come il protagonista de L’ultimo lupo: nello stesso anno in cui questo giovane veniva mandato in Mongolia, io venivo mandato in Africa e me ne sono innamorato, scoprendo così l’universalità dell’umanità e la somiglianza tra l’animale e l’uomo. L’ho scoperto ancora di più quando ho girato L’orso, perché mi sono reso conto che in fondo io sono un animale. Certo ho degli abiti, degli indumenti, ma sono un animale. Condividiamo le stesse cose essenziali della vita, come l’istinto, la pulsione dell’amore, il territorio e ho sperato, attraverso i film sugli animali, di rendere migliore l’uomo.

[InGenere Cinema] Con L’orso ha adottato l’ottica, la soggettiva dell’animale, mentre con Due fratelli ha analizzato il male dell’uomo nei confronti degli animali. Con L’ultimo lupo lo sguardo si allarga, mostrandoci l’uomo che annienta la natura. Sembra che ci sia stata una sorta di evoluzione…

[JJA] Quando ho realizzato L’orso ho corso il rischio di raccontare una storia dal punto di vista dell’animale protagonista. Per il secondo, Due fratelli, non avevo voglia di ripetermi, e quindi ho adottato un altro punto di vista. Con L’ultimo lupo la mia intenzione è stata quella di onorare le emozioni forti suscitate dal romanzo, e di rispettarlo a più livelli. Innanzitutto ho cercato di trasferire quel senso di calore, quella gamma di emozioni che prova il giovane protagonista, e l’affetto che sviluppa nei confronti di questi animali. Un secondo livello, molto importante, è stato quello di avvicinarsi il più possibile ai lupi, cercare di far comprendere le loro ragioni e far sì che il pubblico arrivi in qualche modo ad amare, a provare affetto per questi animali che sono stati sempre visti come dei nemici da tutti i popoli della Terra.

Mi sono rallegrato quando l’autore del romanzo, che è diventato un amico, mi ha detto “La cosa che mi farebbe davvero felice è che il pubblico, grazie al film, arrivasse a comprendere meglio il punto di vista dei lupi” e io ho cercato di fare questo, mostrandoli nel loro ambiente, tentando di mostrarne l’anima e rendere evidente la loro specificità, ma soprattutto il bisogno della loro presenza nella catena alimentare, in particolare in una terra come la Mongolia. Da quando i lupi sono stati sterminati da quella terra, si sono sviluppati i roditori che, strappando l’erba, hanno trasformato quell’immensa terra da pascolo in un deserto di dune. I venti che soffiano trasportano la sabbia del deserto fino a Pechino, ed è una delle ragioni principali del livello di inquinamento.

L'ultimo lupo foto 3[InGenere Cinema] Cosa può fare il cinema nei confronti dell’ambiente minacciato?

[JJA] Il cinema ha la forza della persuasione. Ogni civiltà occidentale è stata influenzata dal pensiero anglosassone, ed è una cosa che ognuno può benissimo vedere nei vari paesi, come in Italia, in Francia e in Cina. Questa forte influenza del mondo anglosassone è avvenuta grazie al cinema, ed è chiaro che può aiutare a cambiare questo nostro mondo, ma è altrettanto chiaro che un solo film non può essere sufficiente. C’è bisogno di un altro film e di un altro ancora: in sostanza non bastano solo un paio di mani, ma moltissime altre per poter riuscire a costruire un gigante.

 

[InGenere Cinema] Nel film c’è una scena in cui si parla di “lupi volanti”. Durante la lavorazione ha anche effettuato una ricerca sulle leggende del lupo, sulle credenze legate a questo animale?

[JJA] Quello che ho fatto è stato rileggere dei testi scientifici, per la maggior parte redatti dai difensori di questa specie, per cercare di capire a livello teorico la specificità di questi animali e le differenze rispetto ad altri mammiferi. Poi ho incontrato i due accademici che hanno studiato maggiormente quella che ora è la sottospecie del lupo della Mongolia.

Per quanto riguarda le credenze, mi sono concentrato in particolare sulle tradizioni delle popolazioni cinesi e mongole. I cinesi avevano una prospettiva da agricoltori, da allevatori, mentre i mongoli avevano l’atteggiamento del popolo nomade, quindi parliamo di due popolazioni con due concetti del territorio completamente diversi. I nomadi, finché sono stati tali, hanno in qualche modo considerato i lupi come una tassa necessaria da pagare. Ogni tanto gli consentivano di mangiare qualche pecora, perché in fondo erano queste creature a gestire e a ripulire la steppa, continuando a renderla vitale, ma da quando i nomadi sono diventati sedentari hanno iniziato anche loro ad uccidere i lupi. Oggi c’è una controversia in Mongolia, dove ritornerò a breve, perché i giovani del luogo dicono “Noi non amiamo i lupi”, adottando così un punto di vista molto diverso rispetto a quello dei loro nonni. I loro avi, dopo la morte, offrivano i loro corpi ai lupi, convinti che avrebbero consentito alla loro anima di arrivare al Tengri, proprio come fanno i tibetani, una popolazione delle montagne della Mongolia, che offrono i loro cadaveri agli avvoltoi. Per inciso, quando ho lavorato a Sette anni in Tibet, avevo girato una scena che poi ho deciso di non montare, perché era davvero molto cruenta. Si vedevano i monaci che facevano a pezzi un cadavere e poi lanciavano i resti in aria affinché gli avvoltoi li afferrassero, così da far trasportare via l’anima del defunto. 

[InGenere Cinema] Perché il 3D? L’impressione è che non sia stato utilizzato solo per risaltare i meravigliosi paesaggi della Mongolia, ma che sia servito per avvicinare ancora di più lo spettatore a questi animali.

[JJA] Nel 1995 avevo realizzato un mediometraggio in IMAX, si intitolava Wings of Courage, ed è stato il mio primo avvicinamento al 3D. In quell’occasione ho scoperto i vantaggi e i pericoli di questa tecnologia. I vantaggi erano nel riuscire a cogliere ancora di più le scene di intimità, mi consentivano di avvicinarmi sempre di più al soggetto. I pericoli, invece, erano legati all’utilizzo del 3D solo per potenziare gli effetti visivi, come ad esempio dare l’impressione di lanciare degli oggetti addosso agli spettatori. Ed è stato proprio questo secondo utilizzo che mi ha fatto rifiutare a lungo di servirmi nuovamente di questa tecnologia.

Per L’ultimo lupo l’ho riadottata proprio per riuscire ad avvicinare il più possibile lo spettatore allo spazio dei lupi. Ho girato un terzo del film con le macchine da presa 3D, in particolare tutte le scene con il cucciolo di lupo, per non stargli troppo addosso e renderlo irrequieto. È stato impossibile, per lo stesso motivo, utilizzarle per riprendere i lupi adulti, perché gli specchi montati sulle macchine 3D li terrorizzavo, dato che vedevano riflessa la loro stessa immagine e dava loro l’impressione che ci fossero altri loro simili nei dintorni. Per questo motivo le scene con i lupi adulti sono state girate tutte in 2D e poi riconvertite inquadratura per inquadratura da un equipe di duemila persone, che ha dovuto ridimensionare ogni singolo pelo di questi animali. Ho cercato di rendere il loro lavoro meno complesso, spostando leggermente la macchina da presa per le altre angolazioni. Sarebbe stato molto più economico girarlo in 3D, ma sono stato costretto a ricorrere a questo metodo e a mantenere una certa distanza fra me e i lupi, utilizzando degli obiettivi molto potenti.

 

L'ultimo lupo foto 1[InGenere Cinema] Avete addestrato questi lupi, che hanno vissuto con voi e sono diventati i protagonisti del film. Ma chi ha imparato da chi?

[JJA] Sono io che ho imparato molto da loro, osservando in particolare il funzionamento della loro società. Ad un certo punto il capobranco è stato detronizzato dal fratello stupido, che si sentiva molto forte. Il capo ha deciso di non combattere e di lasciargli il trono. Quel giorno, il nuovo re dei lupi doveva attraversare la galleria del branco per confermare il suo potere, ma non sapeva bene come fare e si riusciva a capire che cosa ne pensavano tutti gli altri lupi: “È veramente un cretino, abbiamo scelto un pessimo re!”.

Tutti iniziarono a fare delle espressioni, sembravano stessero sogghignando. C’erano dei giovani lupi che, vedendo questa scena, sembravano quasi sul punto di parlare e di dire “Maestà, possiamo mostrarle come fare? Noi siamo giovani, le facciamo vedere come deve compiere questo percorso” e il re “Sono giovane e forte, ci penso da me!” e loro continuavano a sogghignare. Abbiamo aspettato mezz’ora e il re continuava a non muoversi e si vedevano tutti i lupi che chiaramente pensavano “Abbiamo eletto un cretino!”.

Finalmente il re riuscì ad entrare nella galleria e ne uscì dall’altra parte tutto tronfio. Ha alzato la coda e tutti gli altri lupi si sono prostrati a inchinarsi come dei veri cortigiani e hanno letteralmente leccato il culo a questo nuovo re, che fino a poco prima veniva considerato un idiota.

 

[InGenere Cinema] Ha mai sentito la responsabilità di portare sul grande schermo un libro di grande successo, proprio come Il totem del lupo?

[JJA] Sì, quando ho adattato Il nome della rosa. Ricordo che le critiche al film sono state tutte abominevoli, non ce ne è stata neanche una positiva, ma in tutto questo ho sempre avuto il sostegno morale di Umberto Eco. Questo è un rischio che ogni cineasta si prende nel momento in cui decide di adattare un’opera letteraria. Quello che Umberto mi diceva e continuava a ripetermi era “È il mio libro, ma questo sarà il tuo film, quindi è giusto che trovi il tuo linguaggio. Se un giorno uno scultore si svegliasse e decidesse di fare una scultura tratta da Il nome della rosa, diventerà evidente per tutti che quell’opera sarà molto diversa dall’originale a cui si ispira”.

Ho avuto una seconda esperienza con l’autrice Marguerite Duras per l’adattamento de L’amante, ma lei è stata un po’ meno di sostegno rispetto a Umberto. Quando Marguerite ha visto che il film funzionava così come l’avevo realizzato, ha approvato tutte le mie scelte e ci siamo abbracciati e baciati. In quell’occasione ho ricevuto la migliore critica da parte dell’autore del romanzo.    

 

[InGenere Cinema] É stato più difficile girare con il capobranco dei lupi, o con Sean Connery per Il nome della rosa?

[JJA] Sean Connery è stato delizioso, assolutamente molto gentile. Non ha mai cercato di mordermi, nè ha mai preteso di leccarmi per dieci minuti ogni mattina sul set, cosa che invece aveva deciso di fare il re dei lupi.

 

lultimo-lupo-Annaud-2-300x190[InGenere Cinema] Tornando a “L’ultimo lupo”, com’è stata l’accoglienza del film in Cina?

L’accoglienza in Cina è stata assolutamente magnifica, un vero exploit al botteghino. Il primo giorno ha totalizzato un milione di spettatori e ora siamo intorno ai 20 milioni.

 

[InGenere Cinema] Quali sono oggi i “lupi” della nostra società? Quali sono gli emarginati, i condannati della società che potrebbero essere una risorsa?

[JJA] Come ha detto Umberto Eco, “esiste lo stesso numero di letture e di lettori”, per cui la metafora spesso viene vista nel rapporto fra mongoli e cinesi. Un’etnia con dei numeri molto contenuti è in grado di arrivare a costituire una minaccia ad una popolazione di grandi numeri. In generale vengono considerati “lupi” le minoranze che sono minacciate di sterminio, quindi di estinzione da parte delle maggioranze, in particolare in Cina.

[InGenere Cinema] Fra lupi, orsi e tigri quali sono stati gli animali più difficili da gestire?

[JJA] Come ho accennato prima, ho dovuto gestire le manifestazioni amorose da parte del re lupo, che tutte le mattine mi saltava addosso, mi mordeva in faccia e adorava in particolare il mio orecchio sinistro. Si era creata una situazione al limite dell’imbarazzo. Grazie a Dio “la regina”, la sua compagna, interveniva ad un certo punto e mi tirava per i capelli e per i pantaloni. Nonostante questo il re lupo non ha mai cercato di uccidermi, cosa che ha provato a fare l’orso. Porto ancora le tracce di questo tentato omicidio, in particolare in un punto del mio corpo che la licenza mi impedisce di rivelare.

[InGenere Cinema] Qual è l’animale più bello: l’orso, il lupo, o la tigre?

[JJA] Ci sono la bellezza e il fascino, sono due cose diverse: le più belle sono le tigri, i più affascinanti sono i lupi.

[InGenere Cinema] Prima ha detto che anche lei è un animale: che tipo di animale è Jean-Jacques Annaud?

[JJA] Sul passaporto c’è scritto che sono un uomo!

Luca Pernisco

Roma, Marzo 2015

Gilda Signoretti

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