Home / Recensioni / In sala / DJANGO UNCHAINED di Quentin Tarantino

DJANGO UNCHAINED di Quentin Tarantino

Layout 1«Senza gli spaghetti western non esisterebbe una buona parte del cinema italiano. E Hollywood non sarebbe la stessa cosa.» Parola di Quentin Tarantino. E se a dirlo è un regista come lui, allora un po’ ci possiamo pure credere. Sì, proprio lui che di quel filone e della restante fetta del cinema di genere cosiddetto di serie B made in Italy, è stato e continua ad essere grande estimatore, molto di più senza alcun dubbio di quanto abbiamo dimostrato di esserlo noi se non nei confronti dell’autore della “trilogia del dollaro”. Ed è proprio da quel ricco sottobosco nostrano e non solo, dagli autori più o meno noti che nel passato hanno deciso di percorrerlo, che il cineasta americano ha attinto a piene mani per partorire la sua nona fatica per il grande schermo, ossia Django Unchained.

Finalmente nelle sale italiane con cinquecento copie a partire dal 17 gennaio dopo un discreto riscontro al box office a stelle e strisce, con tanto di polemiche scagliate addosso alla pellicola da parte di Spike Lee per il modo non particolarmente rispettoso con cui il collega di Knoxville ha trattato il tema della schiavitù, il ritorno dietro la macchina da presa di Tarantino è infatti un chiarissimo omaggio allo spaghetti western, in particolare a una delle pietre miliari che lo hanno consacrato come genere a tuttotondo, ossia quel Django firmato da Sergio Corbucci nell’anno di grazia 1966.

Non bisogna considerarlo però un rifacimento, piuttosto una sorta di pseudo-remake da affiancare alla nutrita schiera di “figli illegittimi” partoriti dalle cinematografie di mezzo mondo a cominciare dalla produzione dell’originale al suo unico e certificato sequel [e oltre], Django 2 – Il grande ritorno, firmato nel 1987 da Ted Archer, alias Nello Rossati.

djangounchained6
Il risultato è una “prole” di celluloide che conta tentativi più o meno riusciti, altri assolutamente da dimenticare, che vanno da Django spara per primo di Alberto De Martino a Django il bastardo di Sergio Garrone, da Django sfida Sartana di William Redford [Pasquale Squitieri] ad Arrivano Django e Sartana… è la fine di Dick Spitfire [Demofilo Fidani], da Pochi dollari per Django di Leon Klimovsky [Henry Mankiewicz] a Preparati la bara! di Ferdinando Baldi, passando persino per parodie [il recente Sukiyaki Western Django di Takashi Miike], manga e pellicole d’animazione nipponiche e statunitensi [Sam ragazzo del west, Gun Frontier o Rango di Gore Verbinski].

Così come Inglourious Basterds è nato dalle ceneri di Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, così Django Unchained prende forma dalla costola di uno dei classici di Corbucci e del western all’italiana. Dunque, nient’altro che una fonte d’ispirazione dalla quale non riprende la trama, bensì l’inverosimiglianza della vicenda, certe atmosfere, le psicologie, la natura dei dialoghi, lo humour nero, che sfiorano tutte il puro delirio.

djangounchained2Il plot prende di conseguenza altre derive, calando gesta e personaggi nella Louisiana pre Guerra Civile per raccontare l’atroce periodo dello schiavismo. Il film racconta la storia di Django, uno schiavo che viene liberato dai suoi padroni grazie al dottor King Schultz, un dentista tedesco diventato un cacciatore di taglie. Schultz è a caccia dei criminali più ricercati del Sud e decide di svolgere questo compito con Django al suo fianco. Dopo aver imparato tutti i segreti della caccia, l’ex schiavo decide che è giunto il momento di ritrovare e liberare sua moglie Broomhilda, che non vede più da quando era stata venduta al mercato molto tempo prima. Aiutato anche da Schultz, l’uomo riesce a rintracciare la moglie che si trova a Candyland, una famigerata piantagione gestita da Calvin Candie. Django dovrà quindi vedersela con Calvin e la sua banda di schiavisti senza scrupoli per liberare l’amata.

djangounchained4Sinossi alla mano è facile rintracciare le sostanziali differenze tra l’originale e l’opera tarantiniana, a cominciare proprio dal protagonista affidato a Jamie Foxx, un ex schiavo di colore che va a prendere il posto del cacciatore di taglie bianco interpretato da Franco Nero, che si trascina appresso una bara. Anche qui si parte dal solito tema della vendetta, ma il Django/Foxx creato da Tarantino va in cerca della moglie ancora viva, mentre quello nato dalla mente del collega romano è già bella che sepolta. Per non parlare delle ambientazione che da un paesino dimenticato da Dio, sulla frontiera fra Stati Uniti e Messico, si sposta al Tennessee e alle piantagioni della Louisiana. Una serie di sostanziali divergenze drammaturgiche e narrative legate alla volontà del cineasta americano di mettere in quadro un vero tributo al cinema che ama da sempre, quel cinema del quale si è “nutrito” nelle lunghe giornate trascorse nel videonoleggio dove lavorava negli anni Ottanta, il Manhattan Beach Video Archives, nell’area di Manhattan Beach a Los Angeles.

djangounchained5Per forgiare Django Unchained, il regista di Pulp Fiction e Le iene non guarda a John Ford piuttosto a Sam Peckinpah. Si lascia andare alla solita deriva citazionistica dove non si contano sulle dita delle mani i molteplici omaggi e riferimenti più o meno velati allo spaghetti-western o al western in generale, realizzati negli anni sessanta e settanta non solo da Corbucci e Leone, ma anche tra i tanti da Florestano Vancini, Duccio Tessari, Lucio Fulci e Sergio Sollima. È all’enorme mole di immagini, situazioni, caratterizzazioni e atmosfere, prodotte dalle loro filmografie che Tarantino risucchia il dna filmico della sua ultima fatica dietro la macchina da presa, così come aveva fatto ad esempio per i due capitoli di Kill Bill dal kung fu movie made in Hong Kong o dall’exploitation per Grindhouse – A prova di morte. Per rimaneggiare e plasmare a proprio piacimento questa maionese impazzita di piombo e sangue non può che affidarsi quindi alla sua cinefilia enciclopedica, cavalcando l’onda di un famoso aforisma di Igor Stravinskij: «I grandi artisti non copiano, rubano». Se ciò fosse vero, allora Tarantino è un grande esperto del furto e Django Unchained un “patchwork” da collezione.

djangounchained3Qui vi riversa le sue conoscenze, ciò che ha visto, divorato e sentito [compreso il repertorio musicale che ripesca temi celebri del filone composti da Luis Bacalov, Ennio Morricone o Riz Ortolani] durante il training da cineasta autodidatta. Ripropone tecniche a lui care per poi rielaborare come vuole e tutte le volte che la scena glielo permette lo stile e le tecniche solitamente utilizzate nel genere di riferimento, riportando sul grande schermo zoom in scagliati come frecce sulle figure animate o focali spinte per esaltare la profondità degli spazi esterni. Dipinge una vasta galleria fatta di personaggi che hanno il retrogusto della citazione o del semplice stereotipo, che si muovono come mine vaganti nel quadro e li affida a illustri camei [Franco Nero in primis] o ad attori che sfornano performance di altissimo livello [da Leonardo DiCaprio/Calvin Candie a Christoph Waltz/Dr. King Schultz e Samuel L. Jackson/Stephen].

djangounchained7Ne scaturisce una minestra bollente alla quale si può rimproverare solamente l’eccessiva durata, che ha il merito però di non essere una brodaglia riscaldata, piuttosto una sorta di antologia del western in negativo in cui si rincorrono e si ricorre ai più scalcinati stereotipi del filone. Scava nell’atroce memoria storica, nelle pagine nere del Nuovo Continente per portare sullo schermo un disegno di morte ultra-pulp ambientato nell’Ottocento, che a differenza di quanto affermato da Spike Lee punta il dito contro lo schiavismo, lo bandisce estremizzandolo, portandolo all’eccesso. Per tradurre in immagini e suoni tale intenzione antischiavista decide disseminare nella successione di quadri un numero incalcolabile di cadaveri e di battute che contengono la parola “nigger”, ossia “negro,” ormai da anni bandita dalla lingua scritta e parlata, ma al tempo pronunciata con la frequenza di una congiunzione.

djangounchained8Alterna lunghe scene senza stacchi [vedi i monologhi di Calvin Candie e del Dr. King Schultz] a frequenti e improvvise mitragliate di inquadrature che destabilizzano lo spettatore di turno. Sceneggiatura e trasposizione viaggiano non a caso sul doppio binario della parodia e dell’azione a ritmo sostenuto. Da una parte calca la mano sulla violenza, con bagni di sangue tanto splatter [il pre-finale e l’epilogo non hanno niente da invidiare al massacro che chiude il primo volume di Kill Bill] quanto crudi [uccisione dei fratelli Brittle, l’agguato nel bosco innevato nel quale viene sgominata e sterminata la banda Wilson-Lowe, lo schiavo sbranato dai cani o l’incontro di mandingo fight nel salotto del sadico Calvin Candie], dall’altra inonda i momenti di stasi con la sua inconfondibile logorrea senza freni che tramuta scene come quella della cena a Candyland o del saloon in quel di Daughtrey in due piccoli gioiellini di risate e tensione latente. Questo è Tarantino, prendere o lasciare!

Francesco Del Grosso

DJAGO UNCHAINED

4 Teschi

Regia: Quentin Tarantino

Con: Jamie Foxx, Leonardo DiCaprio, Christoph Waltz, Samuel L. Jackson e Kerry Washington

Uscita in sala in Italia: giovedì 17 gennaio 2013

Sceneggiatura: Quentin Tarantino

Produzione: Columbia Pictures, The Weinstein Company

Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

Anno: 2012

Durata: 165’

 

InGenere Cinema

x

Check Also

VESPERTILIO AWARDS 2024: Ecco i finalisti

Brando De Sica, Luna Gualano e Andrea Niada fanno il pieno. Sorpresa ...