Home / Recensioni / In sala / TRON: ARES di Jøachim Ronning

TRON: ARES di Jøachim Ronning

Quello di Tron è uno dei franchise più curiosi tra tutte le produzioni Disney. Non ha mai registrato grandi incassi, non ha mai ottenuto un grande consenso di critica ed è diventato un franchise di culto più per l’importanza storica che per aver fatto davvero breccia nel cuore del pubblico. Eppure, ogni volta che spunta fuori una nuova tecnologia degna di essere analizzata, o ogni volta che Disney si ritrova a dover riesumare le sue proprietà intellettuali per capire cosa possa fruttare, ecco che arriva al cinema un nuovo capitolo del passion project di Steven Lisberger, destinato con ogni probabilità a diventare un ennesimo film di culto dallo scarso successo al botteghino. L’originale Tron del 1982 è una pellicola seminale, importantissima per l’utilizzo massiccio della computer grafica in un’epoca in cui non era ancora così sdoganata. Tron: Legacy, il sequel diretto da Joseph Kosinski uscito a quasi trent’anni dal capitolo originale, proponeva un comparto audio-visivo [ma soprattutto audio] assolutamente fuori scala, sfoggiando un uso del 3D secondo solo a quanto James Cameron fece con il primo capitolo di Avatar, al netto di una sceneggiatura sfilacciata.  Quindici anni dopo, Tron: Ares tenta di fare da ponte tra i due capitoli, provando ad unificarli sotto un unico stile e rilanciando la serie per il pubblico contemporaneo, mettendo al centro della sua storia i confini sempre più labili tra il nostro mondo e quello digitale.

Nel terzo capitolo i programmi non sono più vincolati al Grid [o alla Rete, per i puristi], ma possono essere materializzati dal niente nel nostro mondo e restarci, almeno per 29 minuti. Le multinazionali Encom e Dillinger, rivali sin dai tempi del primo film, sono entrambe alla ricerca di un modo per stabilizzare questi codici digitali nel mondo reale e garantirgli la permanenza. Ma mentre la Encom, guidata dalla dottoressa Eve Kim [Greta Lee] ha intenzione di usare il codice “permanence” per aiutare le persone [e potenzialmente risolvere l’implicita crisi energetica causata dall’uso compulsivo delle Stampanti 3D], il petulante Julian Dillinger [Evan Peters] crea Ares, un soldato perfetto con le fattezze di Jared Leto. Ares viene incaricato di recuperare il codice “Permanence” dalla dottoressa Kim, ma nella sua ricerca il programma inizia a dubitare degli ordini del suo stesso creatore, fino a decidere di combattere per la propria libertà.

L’incontro-scontro tra le realtà digitali ed organiche di Tron: Ares rende la pellicola molto interessante da subito, almeno sulla carta. L’IA non è più solo fantascienza ipotetica, ma parte del nostro quotidiano, ed usare un capitolo di Tron, l’antesignano della fantascienza applicata al virtuale, come veicolo per riflettere su questo nuovo potentissimo strumento, risulta essere un’idea azzeccata. Tuttavia, il film non è interessato a rispondere ad alcun tipo di questione etica che si ci si potrebbe fare guardando un mondo in cui si può creare e stampare sostanzialmente “vita” con la stessa facilità con cui noi stampiamo un documento word [con l’intento, tra l’altro, di essere impiegata per scopi bellici e quindi creata per morire e rinascere all’infinito].

Il mondo e la storia del film sono al servizio del protagonista e del suo viaggio da novello Pinocchio [come viene anche apostrofato], e questa continua e forsennata corsa contro il tempo, con il protagonista sempre a rischio di essere cancellato, si muove sia nel mondo reale che digitale, senza però che nessuno dei due sembri mai più di un set. In Tron: Ares c’è un divario evidente tra chi è buono e chi è cattivo, ed il cast di personaggi non riesce ad andare oltre i rigidi ruoli impostigli dalla sceneggiatura. Leto, in quanto fondamentalmente un prompt di ChatGPT su due gambe, riesce a dare una performance concreta e ad avere una discreta chimica con gli altri comprimari e a dare una forma convincente ad un viaggio prevedibile, seppur piacevole nello svolgimento.

Vista la sensibilità e vastità dell’argomento cardine, non sorprende che lo script a cura di Jesse Wigutow [sceneggiatore di Daredevil – La rinascita] si muova sulla via più rassicurante, dove l’intelligenza artificiale creata dall’uomo non solo vuole essere sua amica ma aspira inconsciamente ad essere umana lei stessa, e basta uno sguardo affabile o sentire la pioggia scorrere sul proprio corpo fatto di 0 e di 1 per mettere in dubbio la propria programmazione. A poco serve la riflessione insita sulla natura della permanenza che viene ricavata: Ares ha una visione sulla tecnologia troppo all’acqua di rose per lasciare il segno dopo la visione. Ironico, se si considera che il film è incentrato sulla ricerca della permanenza e sulla comprensione di cosa essa significhi.

La semplificazione della struttura, in realtà, non è necessariamente un difetto se si esaminano gli altri film del franchise: se non altro, Tron: Ares va a snellire e a rendere più appetibile il suo mondo con una sceneggiatura dal ritmo serrato e pimpante, laddove i film precedenti presentavano concetti interessanti ma con storie farraginose e con un cast di personaggi più funzionale che memorabile. C’è un forte rispetto soprattutto nei confronti del cult dell’82 evidente nel fan-service accorato di Jeff Bridges e nel modo in cui vengono inseriti alcuni ammiccamenti alla cultura pop dell’epoca [Ares è così innamorato dei Depeche Mode da considerarli migliori di Mozart]. Ares, inoltre, va inteso come una sorta di storia a sé stante o di soft reboot. Tutto ciò che concerne la trama di Tron: Legacy, compreso il finale lasciato aperto del corto Tron: The Next Day, è stato ignorato o relegato ad un paio di menzioni e a qualche vago collegamento tematico.

L’anima di Legacy è però onnipresente e palpabile in Ares, in quanto il nuovo film eredita il look iperestetico di Kosinski, seppur senza lo stesso guizzo nella regia. Ancora una volta l’aspetto principale per cui il film si distingue dalla massa, e per cui verrà ricordato, è il comparto visivo assolutamente unico. Sarà anche un blockbuster dalla trama semplicistica, ma non esiste un altro film dal budget faraonico che abbia questo feeling nel panorama contemporaneo. Tron era e resta inimitabile.

Se è vero che il regista di Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar e Maleficent – Signora del Male non infonde particolari novità e, anzi, si limita a riprendere il buon lavoro fatto dai film precedenti e al massimo ad aggiornare l’aspetto grafico del primo capitolo, il look di Tron è ancora sfolgorante, e le coreografiche battaglie o i rocamboleschi inseguimenti a bordo delle Lyght-Cycle diventano visceralmente coinvolgenti grazie ad una colonna sonora di altissima qualità.

Gli storici Nine Inch Nails erano gli unici che davvero potevano raccogliere il testimone dei Daft Punk e del loro sensazionale lavoro svolto con Tron: Legacy. Va detto che non sempre le tracce audio si amalgamano con la stessa armonia con cui le tracce del duo francese si facevano con il film di Kosinski [così eccezionali che il film è stato definito più volte “un videoclip dei Daft Punk lungo due ore”], ma il loro sound graffiante e industriale si sposa magnificamente all’universo dark cyberpunk di Tron, diventando il vero cuore pulsante dell’esperienza e regalando al film quella “permanenza” che tanto agogna.

Cercando di rinnovare una serie stagnante, l’ultimo capitolo di questa particolare trilogia strizza più l’occhio ai fan di lunga data, almeno sul profilo estetico, mentre rinnega la vena solenne e l’eleganza di Tron:Legacy in favore di una sceneggiatura pimpante che però manca di coraggio e acume. Privo della carica innovativa dirompente dei capitoli passati, Tron: Ares non invertirà la tendenza di status di cult del franchise e non farà ricredere i detrattori del brand, mentre chi gli darà una possibilità in cerca di un’avventura dinamica con uno stile sopra la media, si troverà davanti un blockbuster sanitizzato ma ancora unico nel suo genere, con una trama scorrevole, una direzione artistica incredibile e una grandissima colonna sonora.

Giovanni Ardizzone

TRON: ARES

Regia: Jøachim Ronning

Con: Jared Leto, Evan Peters, Jeff Bridges, Greta Lee, Jodie Turner-Smith, Hasan Minhaj, Arturo Castro

Uscita in sala in Italia: giovedì 9 ottobre 2025

Sceneggiatura: Jesse Wigutow

Produzione: Walt Disney Pictures, Sean Bailey Productions

Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures

Durata: 119’

Anno: 2025

InGenere Cinema

x

Check Also

FANTAFESTIVAL 45: Il programma del festival

Al via dal 21 al 30 novembre la 45ª edizione del FANTAFESTIVAL ...