A distanza di oltre due decenni dal capostipite che ridefinì i contorni dell’horror post-apocalittico, 28 anni dopo conferma come il Genere possa essere molto più di una vetrina per l’adrenalina. Il regista Danny Boyle, ritornando all’universo narrativo da lui stesso inaugurato, dimostra una maturità rara nel maneggiare materiali sensibili, trasformando un racconto di sopravvivenza in una riflessione lucida e dolorosa sulla dignità, il trauma e il fine vita.
28 anni dopo è ambientato quasi trent’anni dopo che il virus della rabbia è fuoriuscito da un laboratorio di armi biologiche e ha devastato il Regno Unito, mentre è stato respinto dall’Europa continentale. Per contenere i contagi, la terraferma britannica è messa in quarantena, e i sopravvissuti sono stati abbandonati a loro stessi. Tra questi ci sono quelli che hanno creato una piccola comunità autonoma su una piccolissima isola vicina alla costa nord orientale dell’Inghilterra, cui è collegata solo da un passaggio percorribile a piedi con la bassa marea. È su quell’isola felice che vivono Jamie, Spike e Isla rispettivamente padre, figlio e madre malata di una misteriosa malattia che la costringe a letto. Spike ha compiuto i 12 anni, e per Jamie è arrivato il momento di uscire dall’isola, arrivare sulla terraferma e ricevere il battesimo di sangue che farà di lui un uomo: uccidere con arco e frecce, uniche armi della loro comunità, il suo primo infetto. La loro spedizione solitaria, più complessa del previsto, sarà per Spike qualcosa di più di una semplice battuta di caccia o del suo primo drammatico confronto con il pericolo rappresentato dagli infetti: sarà la sua occasione di aprire gli occhi sulla complessità del mondo in cui vive e sul cammino pensato per lui da suo padre, ma anche di scoprire che forse, da qualche parte, potrebbe esserci qualcuno in grado di curare sua madre.
Lontano dalle derive spettacolari di certa produzione contemporanea, 28 anni dopo si muove su un registro intimo, quasi contemplativo, che tuttavia non rinuncia alla tensione e alla brutalità. La costruzione dell’angoscia è calibrata, mai compiaciuta, e funziona come vettore per un discorso più ampio: la sopravvivenza non è solo fisica, ma morale, affettiva, etica.
Alex Garland, autore della sceneggiatura, scava sotto la superficie della narrazione zombie per interrogarsi su cosa resta dell’umanità quando il sistema collassa. Le sue domande non cercano una risposta, ma si annidano nel cuore dei personaggi, in bilico tra resistenza e resa, tra l’istinto di vivere e il diritto di morire. In questo senso, il film riesce nell’impresa non banale di portare sullo schermo una riflessione sul fine vita che è asciutta, non retorica, eppure di forte impatto emotivo. Il virus, qui, non è più solo una minaccia esterna: è un pretesto narrativo per esplorare l’esaurimento delle risorse interiori, il logoramento delle relazioni, la stanchezza esistenziale di chi ha perso ogni forma di orizzonte.
La regia di Boyle accompagna con estro e precisione, scegliendo spesso la sottrazione, la distanza, la quiete prima della ferocia. Il lavoro sulla luce naturale, sui paesaggi desolati e sui volti dei personaggi restituisce un’atmosfera sospesa, dove la catastrofe ha già avuto luogo e ciò che resta è solo una lunga, dolorosa elaborazione. Le esplosioni di violenza, quando arrivano, non sono mai spettacolarizzate, ma vissute dal punto di vista dei sopravvissuti: confuse, improvvise, devastanti. L’orrore diventa allora parte del quotidiano, un rumore di fondo con cui si convive, e che per questo fa ancora più paura. Nessuno è davvero eroe o carnefice, ma piuttosto una figura intermedia, sfocata, che riflette bene il senso di disorientamento morale del mondo rappresentato.
28 anni dopo è, in definitiva, la prova più convincente per il regista Danny Boyle, un’opera che conferma come l’horror, quando attraversato con intelligenza e rigore, possa essere uno dei Generi più adatti per raccontare la fragilità dell’umano. È un film cupo, necessario, che parla del nostro presente attraverso i resti di un futuro possibile, e che riesce a toccare corde profonde senza mai alzare la voce. Una pellicola che non cerca di consolare, ma di guardare in faccia la paura, quella vera, che non ha denti aguzzi ma occhi stanchi.
Paolo Gaudio
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28 ANNI DOPO
Regia: Danni Boyle
Con: Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O’Connell, Ralph Fiennes, Alfie Williams, Emma Laird, Erin Kellyman, Edvin Ryding, Christopher Fulford
Uscita sala in Italia: mercoledì 18 giugno 2025
Sceneggiatura: Alex Garland
Produzione: Sony Pictures
Distribuzione: Eagle Pictures
Anno: 2025
Durata: 126′