A24 è una sorta di compagnia “ponte” nel mercato cinematografico contemporaneo: tutti i suoi prodotti prediligono un tipo di cinema che possa essere popolare ed art-house al tempo stesso; un cinema fatto di idee high concept e rimandi al grande cinema di Genere del passato, ma che abbia un occhio di riguardo per le nuove generazioni, mirando sempre ad una messa in scena d’impatto e corrispondente a canoni definibili “autoriali”. The Legend of Ochi, l’ultimo film in uscita prodotto da questa lungimirante società indipendente, applica questa formula in bilico tra passato e presente al Genere fantastico, più specificatamente quello dei film per famiglie.
Ci si accorge ben presto di quanto The Legend of Ochi corrisponda poco ai canoni frivoli del cinema per ragazzi contemporaneo. Il suo è un mondo anacronistico, sognante, etereo eppure molto concreto, come se il concetto dell’Hiraeth gallese fosse stato distillato su pellicola. Tante sono le qualità che il regista e sceneggiatore Isaiah Saxon ha voluto inserire nel suo primo film da autore completo; un evidente passion project che va a richiamare in maniera molto plateale il cinema fantastico tipico degli anni ottanta. Saxon, tutt’altro che alle prime armi, ha alle spalle una lunga carriera come direttore di video musicali, dove ha reso l’astrattismo ed un forte Sense of Wonder derivato dagli ambienti naturali i suoi marchi distintivi. Stavolta, il simbolo di quest’anima romantica è un piccolo esserino dal pelo marrone e blu, dal design a cavallo tra Grogu di The Mandalorian ed un Gremlin dall’omonimo film di Joe Dante.
Il suo nome è Ochi, ed appartiene ad una razza di creature fantastiche che vive nelle altrettanto fittizie isole della Carpathia. In quel non-luogo vivono anche la giovane Yuri insieme al fratellastro Pedro ed al padre Maxin, il quale, a seguito della scomparsa della moglie, ha deciso di dare la caccia ai sovracitati criptidi, talmente infervorato dalla sua missione da non farsi alcuno scrupolo a far imbracciare pistole e fucili a dei ragazzini. Gli ochi sono considerati mostri assetati di sangue, temibili e pericolosi, dei “lupi” cattivi ma dai tratti scimmieschi; perlomeno questo è ciò che Yuri ha appreso per tutta la sua vita. La sua prospettiva è destinata a cambiare radicalmente dopo aver ritrovato un cucciolo di ochi ferito e separato dalla sua famiglia. Affrontando il proprio personale viaggio dell’eroe, Yuri deciderà di riportare l’ochi al sicuro, anche se questo significa scappare ed essere inseguita dal proprio instabile padre.
È impossibile sorvolare sui riferimenti a classici come E.T.- L’Extraterrestre quando è il film stesso a ricreare uno degli shot più iconici della storia del cinema, ma piuttosto che essere strizzate d’occhio autocompiacenti, questi momenti sono parte integrante del DNA del mondo a schermo. The Legend of Ochi non vive di sola nostalgia. Il film di Saxon, seppur intriso a livello fondamentale del camp imprescindibile di quel genere di film, lascia che l’eccentricità dei personaggi faccia da contraltare ad un’esecuzione molto posata. L’opera mantiene con convinzione il proprio tono sospeso, compassato e fiabesco per tutta la durata, ma si resta straniti [in senso positivo] dalle bizzarrie a schermo volute e non spiegate. Si nota nelle piccole cose, come nelle apparizioni di Willem Dafoe in tenuta da generale della prima guerra mondiale, o come la musica italiana che fa da accompagno per un viaggio in macchina. La storia non rivela mai davvero grosse sorprese, ma le favole vivono anche di sottotesto. Le interazioni tra comprimari sono volutamente ridotte all’osso e anche quanto i personaggi umani interagiscono tra loro, spesso lo fanno bofonchiando. Anche questa potrebbe essere vista come una bizzarria, o addirittura un errore, ma pensarlo significherebbe non aver compreso il cuore del film.
La parola chiave in The Legend of Ochi è “comunicazione”. Lo è perché la capacità crescente di Yuri di capire il suo piccolo amico, ed il senso di connessione ed empatia che ne deriva, va anche applicata al rapporto intricato con i propri genitori. La dicotomia bianco-nero si sfuma sempre di più ed evolve in un forte desiderio latente di riconciliazione, ed ecco che il film si fa metafora dell’incomunicabilità tra le persone prima e tra tutti gli esseri viventi poi. In parole povere, The Legend of Ochi è un adventure movie vecchia scuola nella sostanza, con un’anima anni ‘80 in tutto e per tutto, ma trasposto con una sensibilità da 2025.
Se si parla di pura caratterizzazione, purtroppo, la storia ed i personaggi non hanno molto da offrire. Sebbene il film intavoli tutta una serie di riflessioni interessanti, non approfondisce mai nessuno degli aspetti introdotti e prosegue nel suo viaggio dall’esito a volte fin troppo scontato. È sempre volutamente vago, per mantenere il feeling etereo che permea tutta la storia, ma alla lunga risulta in un’avventura troppo lenta e sfilacciata, dove l’ambiente, le creature, ed il modo in cui entrambi vengono mostrati risulta il vero motivo per cui l’avventura non sconfina nella noia.
Il film stesso riesce a comunicare tanto anche solo grazie alla sua messa in scena: il girato analogico e l’aspect-ratio antiquato diventano miracolosamente eleganti se appaiati alla sfumatura dei bordi ed alla lieve sgranatura dell’immagine che rimanda immediatamente ad una pellicola usurata o al look di una vecchia videocassetta. Questa cornice riesce davvero a far risaltare il gusto naturalista e volutamente retrò non dissimile, almeno sul piano visivo, dal cinema di David Lowery [sempre per rimanere in casa A24], ereditandone a volte anche la lentezza asfissiante. La vera star, com’è giusto che sia, è proprio la piccola creatura, frutto di un lavoro certosino che rifugge completamente la CGI e prende vita grazie ad elaborati animatronic e marionette che non farebbero invidia ai migliori lavori di Jim Henson. Il mondo è vibrante, tattile, con una resa tecnica maniacale che però è appaiata ad una narrativa poco incisiva.
The Legend Of Ochi è un film genuino, con un’identità ben chiara ed intriso di un amore palpabile per il cinema di genere e per il modo in cui lo si faceva un tempo. In quanto omaggio, da un punto di vista oggettivo, non si può fare altro che lodare la qualità visiva, indubbiamente di pregio e con una visione d’intenti cristallina, ma la storia resta vittima di una linearità e prevedibilità a volte esasperante. Nell’intento di provare ad avere un’identità più contemporanea, il film finisce per essere troppo lento e vecchia scuola per i giovani e troppo semplicistico per i più navigati. In tal senso, The Legend of Ochi si conferma come un prodotto A24 in tutto e per tutto: un film bellissimo nel senso più stretto del termine, non per tutti ma indubbiamente in grado di entrare nel cuore di chi sarà in grado di apprezzarne le qualità e riuscirà a sintonizzarsi con il suo modo di comunicare, proprio come se si stesse ascoltando il canto del piccolo Ochi.
Giovanni Ardizzone
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THE LEGEND OF OCHI
Regia: Isaiah Saxon
Con: Helena Zengel, Willem Dafoe, Emily Watson, Finn Wolfhard
Uscita in sala in Italia: giovedì 8 maggio 2025
Sceneggiatura: Isaiah Saxon
Produzione: A24, AGBO, Encyclopedia Pictura, Neighborhood Watch, Year of the Rat, IPR. VC., Access Entertainment
Distribuzione: I Wonder Pictures
Durata: 96’
Anno: 2025