Ci sono pellicole che sembrano attese da sempre, come se fossero rimaste nascoste dietro un sipario ideale, aspettando il momento giusto per mostrarsi. Queer, l’ultimo e forse più maturo lavoro di Luca Guadagnino, è proprio uno di questi. Tratto dal romanzo breve e bruciante di William S. Burroughs, questo film segna una tappa fondamentale nella carriera del regista, che ha inseguito per oltre vent’anni il sogno di portarlo sul grande schermo. E il risultato è di quelli che lasciano il segno.
Città del Messico anni 40, l’americano William Lee ha trovato rifugio dopo essere scappato da New Orleans per evitare un arresto per droga. Nella capitale messicana, Lee passa il suo tempo frequentando i bar della città pieni di studenti universitari americani espatriati, soldati congedati e altri personaggi ai margini della società che vivono di sussidi. S’infatua di un militare della Marina americana in congedo, Allerton che, sebbene indifferente alle sue avances, alla fine cede, ma solo quanto basta per rendere i desideri sessuali di Lee ancora più un’ossessione. Insieme, intraprendono un viaggio in Sud America alla ricerca di una droga nota come “Yage”, che secondo Lee lo renderebbe capace di comunicare telepaticamente.
Queer, dunque, riesce nella difficile impresa di trasporre l’universo allucinato, dolente e scomposto di Burroughs senza cadere nella trappola dell’imitazione letterale o della caricatura. Guadagnino plasma piuttosto un’atmosfera propria, sospesa tra la memoria e l’incubo, in un Messico ricreato con una maestria che ha il sapore della grande tradizione del cinema artigianale.
Il lavoro di ricostruzione dei set a Cinecittà è semplicemente magnifico. Ogni strada, ogni interno fumoso, ogni piazza brulicante è attraversata da un senso di spaesamento e desiderio, come se i luoghi stessi respirassero il tormento e l’ossessione del protagonista. Particolarmente notevole è l’uso di modellini per i campi lunghissimi, che restituiscono una profondità pittorica e una malinconia tangibile, come se ogni inquadratura fosse il frammento di un sogno lucido, sgranato dal tempo e dalla solitudine.
Le scene oniriche, poi, meritano un discorso a parte. Affascinanti, ipnotiche, disturbanti nella misura giusta, sembrano nate direttamente dalle pieghe della mente di Burroughs. Guadagnino non le tratta come semplici parentesi visive, ma le innerva nel tessuto stesso del racconto, facendo di esse il cuore pulsante del film. Sono momenti in cui il cinema tocca il delirio e lo trasforma in poesia visiva.
Se Queer non raggiunge forse la vertigine perturbante de Il pasto nudo di David Cronenberg, non ci va affatto lontano. Guadagnino, del resto, non imita: segue una strada propria, più sensuale che teorica, più elegiaca che brutale. Ed è proprio in questo scarto che il film trova la sua forza.
In definitiva, Queer è probabilmente il miglior film di Luca Guadagnino. Maturo, complesso, lirico e inquieto. Un’opera che, pur consapevole della sua eredità letteraria e cinematografica, non ha paura di sognare con occhi propri. E ci ricorda, in ogni suo fotogramma, che il cinema può e deve essere ancora un luogo dove il desiderio prende forma, anche nella sua ombra più fragile.
Paolo Gaudio
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QUEER
Regia: Luca Guadagnino
Con: Daniel Craig, Drew Starkey, Jason Schwartzman, Lesley Manville, David Lowery, Henrique Zaga, Lisandro Alonso, Drew Droege, Ariel Schulman, Colin Bates, Ronia Ava
Uscita sala in Italia: giovedì 17 aprile 2025
Sceneggiatura: Justin Kuritzkes
Produzione: The Apartment, Fremantle, Frenesy Film Company
Distribuzione: Lucky Red
Anno: 2025
Durata: 151′