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L’ORTO AMERICANO di Pupi Avati

Ci sono registi che sembrano non esaurire mai la loro capacità produttiva, nonostante l’età, l’avvicendarsi delle generazioni e lo stratificarsi del linguaggio cinematografico. Ecco, Pupi Avati è certamente uno di questi e con L’orto americano [film numero 43!] torna a dimostrarlo regalandoci, forse, la sua pellicola più riuscita da molti anni a questa parte. Pur con qualche limite formale e con un’unità narrativa spezzata tra le due anime del racconto – quella americana e quella italiana – il film si impone per atmosfera e forza evocativa, riportandoci a quell’Avati che sa inquietare con la quotidianità e il rimosso, scavando nel solco dell’orrore caro a Poe e Polanski, ma con un approccio tutto suo.

L’orto americano, presentato fuori concorso all’ultima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, inizia a Bologna alla vigilia della Liberazione. Un giovane aspirante scrittore dalla mente contorta incrocia casualmente lo sguardo di un’ausiliaria americana e se ne innamora follemente. Non dimenticherà mai quello sguardo e anni dopo decide di andare negli Stati Uniti per scrivere il suo romanzo definitivo. Quando arriva in una cittadina del Midwest, scopre che nella casa vicina vive un’anziana signora che ha perso ogni traccia della figlia. Di notte, dall’orto della donna, provengono inquietanti urla. L’uomo ricollega alcuni dettagli sinistri e si convince che la figlia dell’anziana vicina sia proprio il suo amore americano, di nome Barbara. Decide così di volerla ritrovare ad ogni costo. Le ultime notizie che la madre ha di lei è che ha sposato un italiano e vive in una cittadina alla foce del Po. Lo scrittore torna in Italia per condurre le sue ricerche e scopre verità macabre che non si immaginava nemmeno.

La prima parte del film, quella ambientata negli Stati Uniti, ci introduce a un’atmosfera rarefatta, quasi alienante, che sembra riflettere l’estraneità del protagonista rispetto a ciò che lo circonda. La solitudine di questo giovane scrittore, il suo rapporto di consolazione con la morte e un passato che suggerisce un’instabilità mentale ci consegnano un Avati assolutamente in partita che affascina lo spettatore con una regia rigorosa e algida. Sfortunatamente, il passaggio alla dimensione italiana, forse più concreta e meno psicologica, segna uno stacco netto che appare come una debolezza strutturale che finisce per spostare il centro della narrazione dall’interiore all’esteriore ridimensionando così la forza immaginifica ma, che allo stesso tempo, rafforza il senso di straniamento che permea l’intero film. Avati, dunque, gioca con il tempo e la memoria, mescolando presente e passato, cronaca e incubo, sfoggiando un tocco morboso e malinconico che fa de L’orto americano un’esperienza significativa del suo cinema.

Uno degli elementi che più colpiscono è il lavoro sugli effetti speciali, curati da Sergio Stivaletti. E sì, Amici di InGenereCinema.com, anche questa volta Stivaletti riesce a confezionare effetti potenti e disturbanti che si integrano perfettamente nell’immaginario gotico del regista bolognese. Il suo contributo è essenziale per dare corpo [e non usiamo questo termine a caso] a quell’orrore che Avati suggerisce più che mostrare, lavorando su dettagli inquietanti che difficilmente passano inosservati.

L’orto americano non è un film perfetto, dunque, ma è un film necessario per la filmografia del regista emiliano che dopo qualche anno nero brillante torna in ottima forma. Un’opera che riafferma l’unicità di Pupi Avati nel panorama italiano e la sua capacità di raccontare l’orrore senza mai rinunciare alla sua vena poetica. Forse imperfetto nella costruzione, ma capace di lasciare un segno profondo, confermando che il maestro non ha ancora esaurito la sua voglia di inquietare e sorprendere.

Paolo Gaudio

L’ORTO AMERICANO

Regia: Pupi Avati

Con: Filippo Scotti, Rita Tushingham, Chiara Caselli, Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Massimo Bonetti, Morena Gentile, Mildred Gustafsson, Romano Reggiani

Uscita sala in Italia: giovedì 6 marzo 2025

Sceneggiatura: Pupi Avati, Tommaso Avati

Produzione: DueA Film, Minerva Pictures Group, Rai Cinema

Distribuzione: 01 Distribution

Anno: 2025

Durata: 107′

InGenere Cinema

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