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LONGLEGS di Osgood Perkins

Longlegs è uno dei film più attesi per l’Halloween 2024, ma leggerlo solo attraverso questa definizione spicciola sarebbe fare un gran torto a un’opera misteriosa e carica di macabra tensione e a un autore che proprio sul Genere più oscuro ha già dimostrato di avere qualcosa di interessante da mostrare e raccontare.

Longlegs è di certo uno dei thriller orrorifici più riusciti dell’anno e riesce in quello che molti film, anche più schiettamente horror, falliscono: calare lo spettatore all’interno di un mood da incubo, in cui la paura riesce a insinuarsi serpeggiante, seguendo un viaggio in discesa sospeso tra il reale e l’onirico, che porta protagonisti e spettatore dal reale all’irreale. Un passaggio di mondo di cui non ci si riesce a rendere conto fino al momento in cui è già troppo tardi per tornare indietro e mettersi al riparo.

Osgood Perkins, già autore di February – L’innocenza del male  [2015] e Gretel e Hansel [2020], ci regala il racconto più nero su cui ha lavorato finora. Le radici del suo ultimo lavoro sono state cercate dai più ne Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme [1991] e nel Seven di David Fincher [1995]. Si tratta, però, di alberi genealogici che vanno a scovare solo caratteristiche di superficie che esistono, ma non bastano a creare veri e propri apparentamenti.

Anche in Longlegs, come nel film di Demme c’è una giovane agente dell’FBI che nonostante sia poco esperta si dimostra la più adatta a creare un ponte di comunicazione con un killer seriale spietato. Come in entrambi i film citati, poi, quello perpetuato dal serial killer su cui si indaga è un Male con la “m” maiuscola, primordiale, da testo sacro.

Ma Perkins non si limita a omaggiare o a mettere in scena una riuscita ispirazione tratta da film che forse lo hanno colpito; il suo incubo cinematografico è una storia sospesa, piena di nebbia, all’interno della quale ci si può solo smarrire, per ritrovarsi nell’unico punto in cui non si sarebbe dovuti essere, svelando un arcano che forse era meglio lasciare nell’ombra.

Il senso di sospensione comincia proprio con l’idea di spezzare un incipit ambientato gli anni ’70, in cui una bambina con in mano una Polaroid viene avvicinata da uno strano uomo truccato di bianco, per poi catapultare lo spettatore avanti di vent’anni, a seguire un’indagine che metterà l’agente FBI Lee Harker [Maika Monroe] a dura prova. Lei riesce a leggere oltre, probabilmente ha qualche potere di chiaroveggenza, ma non ne è totalmente cosciente o per lo meno non riesce a maneggiare a pieno le sue abilità. Quel che è sicuro è che sembra essere l’unica a trovare dei visibili punti di contatto all’interno di una serie di omicidi famigliari che si sono svolti nell’arco di quel ventennio.

Lee Harker è il medium attraverso cui il codice nascosto dell’assassino che si firma Longlegs [Nicolas Cage] può affiorare dall’oscurità e mostrarsi anche a occhi che non sanno guardare “oltre”. Attraverso lei anche lo spettatore riesce ad attraversare il confine dell’occulto, del misterico e a calarsi in una dimensione altra che è in parte realtà tangibile, in parte subconscio lievitato che prende con arroganza consistenza.

Il film, pieno di veli che coprono livelli di lettura da scoprire, utilizza a suo modo stilemi e ingredienti riconoscibili, ma che in mano a Perkins sembrano diventare differenti e farsi allo stesso tempo più leggeri e più pregni: un killer sanguinario, omicidi eseguiti con un’ascia, un’agente dell’FBI smarrita e terrorizzata dal suo stesso lavoro, il Male che diventa sempre più luciferino, la possessione, le bambole, il tema della maternità, il femminile e il rapporto madre/figlia, location quotidiane che diventano inquietanti, Manson, un mix audio volutamente innaturale, l’infanzia e la fragilità che non ci abbandona nemmeno in età adulta.

Gran clamore ha fatto [e continuerà a fare] Cage nel ruolo di Longlegs, per un mix riuscito di un look sopra le righe, ma assai inquietante, e di una performance ispirata. Ma la motivazione della già avvenuta trasformazione di un personaggio in un’icona sta ancora una volta nel fatto di essere diventato indelebile proprio grazie all’offuscamento che il suo creatore gli ha dato. Longlegs appare poco, molto spesso non appare per intero, non è nemmeno pienamente riconoscibile all’interno di un genere specifico; è una presenza sfuggente, ancora una volta il senso che il regista-sceneggiatore riesce a ricreare è quello immateriale dell’incubo. Di una visione mostruosa che si nasconde all’interno di lettere scritte con caratteri runici inquietanti e intraducibili che si legano a omicidi altrettanto immotivati.

Per tornare alle radici del film, sarebbe impossibile non ritrovare una linea rossa che collega i film di Oz Perkins attraverso una figura femminile “conduttrice”, che riesce a entrare in contatto con il non-umano, con il Male soprattutto. Riesce a leggerlo e può provare a contrastarne il cammino.

Da non trascurare è anche la ritornanza della figura del Maligno, qui mr. Downstairs, che forse cerca questo ponte di comunicazione per essere messo in discussione all’interno dell’infinita indefinitezza degli incubi. Qualcuno che possa avvicinarsi al carpire il funzionamento del suo algoritmo: un’idea tanto piccola e attuale per un desiderio tanto grande e divinatorio.

Luca Ruocco

LONGLEGS

Regia: Osgood Perkins

Con: Maika Monroe, Nicolas Cage, Alicia Witt, Blair Underwood

Uscita in sala in Italia: giovedì 31 ottobre 2024

Sceneggiatura: Osggood Perkins

Produzione: C2 Motion Picture Group, Saturn Films

Distribuzione: Be Water Film, Medusa Film

Anno: 2024

Durata: 101’

InGenere Cinema

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