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Mostra del Cinema di Venezia 2020 – Report #03

KITOBOY di Philipp Yuryev

Su un’isola situata tra l’Alaska e la Čukotka vive Leshka, un giovane cacciatore di balene che passa le giornate a pescare in mare e a navigare su internet, come tutti gli adolescenti del posto.

Tra un’interruzione di corrente e l’altra, giovani donne intrattengono gli uomini su una chat erotica, dove Leshka incontra Hollysweet 999, una camgirl americana che lo porta a provare emozioni mai avute prima.

Desideroso di incontrare la sua amata, Leshka armato di provviste e arpione, ruba un motoscafo e parte verso

Opera prima del regista russo Philipp Yuryev, conosciuto per i suoi cortometraggi, a soli ventinove anni presenta alle Giornate degli Autori il lungometraggio Kitoboy [2020], un film di formazione ambientato nella tundra siberiana.

“La fantascienza è realtà.”

Una camgirl entra nella sua camera e si posiziona di fronte il proprio portatile acceso. Inizia il suo show. Il computer è collegato a un monitor esterno. La camera si avvicina al monitor e si sofferma sulla sua immagine ingrandita, poco dopo si allontana e ci mostra un vecchio computer sul quale posano gli occhi un gruppo di pescatori siberiani.

Adolescenti che si divertono giocando con l’intestino di una balena, sognano l’America, desiderano Mc Donald’s e belle donne. La fantascienza sovrasta il reale del nostro protagonista creandosi una propria visione del reale. La vita di Leshka [Vladimir Onokhov] viene portata sullo schermo con tenerezza e compassione, specie nei momenti di buio durante l’interruzione di corrente sull’isola. Generatori di emergenza e candele illuminano la fredda e silenziosa isola.

Leshka, in piene turbe adolescenziali, utilizza un sapientino come traduttore per comunicare con la camgirl Hollysweet 999 [Kristina Asmus] continuando innocentemente a non capire che lei non lo può né vedere né sentire.

Il regista oltre a raccontare una storia di crescita personale racconta indirettamente la difficoltà dell’uomo moderno a rapportarsi con la donna, che in questo tempo di progresso tecnologico la può possedere solamente attraverso lo schermo di un computer. Quando la donna si manifesta di fronte ai loro occhi persino il gatto di casa è ammaliato e incapace di prendere contatto fisico con lei, una procace donna russa portata sull’isola dallo zio del suo migliore amico. Il film diventa pian piano un percorso interiore verso la maturazione dell’io e la scoperta del senso della vita.

THE HUMAN VOICE di Pedro Almodovar

Una donna rimane chiusa nel suo appartamento attendendo il ritorno del suo ex amante per chiudere definitivamente il loro rapporto e restituirgli le valigie e il cane abbandonati come lei. Durante questi tre giorni esce solamente una volta per acquistare un’ascia e una latta di benzina.

Pedro Almodovar presenta Fuori Concorso il cortometraggio The Human Voice [2020], ispirato dall’omonima pièce teatrale di Jean Cocteau, è il primo film in lingua inglese per l’acclamato regista spagnolo.

La messinscena è fredda, priva dei toni caldi tipici del cinema di Almodovar, colpa forse di un testo non direttamente debitore dell’esperienza vitale del regista e privo della sua interiorità.

La donna [Tilda Swinton] recita una sorta di soliloquio anche se collegata al telefono via cuffie bluetooth con il suo amante, ma per quanto la sua performance attoriale sia impeccabile la sequenza risulta monotona e priva di pathos emotivo.

Lascia l’amaro in bocca vedere la Swinton per una sola mezzora, speriamo che questo cortometraggio possa essere l’inizio di una collaborazione più lunga con Almodovar.

Giulio Golfieri [RATS]

InGenere Cinema

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