Temuto dai cinefili, atteso dagli esercenti e benedetto dai produttori, anche quest’anno è arrivato il Natale. Le sale si affollano di spettatori, che diligentemente, danno seguito alla tradizionale proiezione natalizia. Prima il panettone e poi un cinepanettone, si potrebbe dire. E il 2017 non ha fatto eccezione, anzi. A giudicare dalle pellicole in uscita, si tratta di un’annata in crescita per questo prodotto cinematografico nostrano. In effetti, il cinema italiano ha dato il meglio di sé, proponendo un’ampia varietà di “film di Natale”, più o meno differenti. In barba a chi si era convinto che a seguito del divorzio Boldi/De Sica, questo Genere si sarebbe estinto, continuiamo ad assistere al moltiplicarsi di commedie, commediucce, commediole, farse, film comici e addirittura [novità di quest’anno] un montaggio del meglio – si fa per dire – di trentacinque anni di produzioni Filmauro.
Dunque, dopo polemiche feroci, iniziative discutibili, molestie denunciate a mezzo stampa, crediti scomparsi e poi riapparsi, fiumi di inchiostro versati per editoriali e opinioni, finalmente, abbiamo visto i film. Allora, non attendiamo oltre e diamo inizio al nostro annuale: “Incubo prima del Natale”.
SIGLA!
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CACCIA AL TESORO di Carlo Vanzina
Partiamo fortissimo con uno dei massimi esponenti del Genere: Carlo Vanzina, il quale, insieme al fratello Enrico, è da considerarsi come il “papà” del cinepanettone. Infatti, senza il loro Vacanze di Natale, uscito nel 1983, non avremmo mai assistito a tutto questo. Quest’anno, gli eredi di Steno, tornano con un tipico film di Natale, Caccia al Tesoro, commedia tutta partenopea con venature Crime. Tuttavia, i Vanzina, preferiscono non buttarsi direttamente nella mischia, arrivando nelle sale a ridosso del mese di dicembre. Strategia interessante, che in effetti, negli ultimi anni ha sempre pagato in termine di botteghino. E fanno bene.
Caccia al Tesoro è un film decisamente stanco, sbilanciato verso la farsa e dalla sceneggiatura esile e troppo poco credibile. Non avrebbe mai retto lo scontro con competitors agguerriti e maggiormente accreditati a fare il pieno d’incassi natalizi.
Sorprende, però, come due vecchi leoni della risata non riescano a sfruttare a pieno la commistione tra Generi, affidandosi completamente alla performance degli attori e a una tendenza, perlopiù televisiva, che preferisce fatti malavitosi di Napoli e dintorni. Si ride pochissimo e si percepisce nettamente l’imbarazzo di alcuni interpreti costretti a indossare goffi travestimenti o a rintracciare verità laddove è tutto fin troppo costruito. Inoltre, impossibile non essere quantomeno perplessi difronte a un tentativo maldestro di rappresentare la Camorra capace di buone azioni. Va bene la farsa, ma a tutto c’è un limite.
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NATALE DA CHEF di Neri Parenti
Continuiamo con altri due pezzi da novanta, autentici pilastri del cinepanettone. Natale da Chef, interpretato da Massimo Boldi, dirige Neri Parenti. Dopo il disastrosamente sublime Natale al Sud, in molti avrebbe scommesso sull’uscita di scena del nostro amato Cipollino. Niente da fare, invece, Boldi è vivo e vegeto e desideroso di dire ancora la sua. Ma per non sbagliare, si è affidato al John Ford dei film di Natale, autore della formula più replicata e di successo – bisogna ammetterlo – che questo Genere possa vantare. E Neri Parenti non si è smentito nemmeno stavolta.
Natale da Chef è l’esempio più accademico possibile di cinepanettone: prendete una località di villeggiatura, un gruppo di personaggi improbabili, cialtroneschi e nazionalpopolari. Aggiungente una comicità fisica, corporea, slapstick e grossolana, infine condite con un gruppo di belle donne in situazioni provocanti. Et voilà, la boiata di Natale è servita. Mancherebbe l’ambientazione natalizia, d’altronde, non si poteva chiedere tutto a questo Natale da Chef, che ha come limite proprio la sua natura così classicheggiante. Se non ci fosse una chiara fotografia digitale e gli attuali rappresentanti del G7, il film potrebbe risalire al 1995. Età d’oro per il cinepanettone, da molti rimpianta, soprattutto per gli incassi, s’intende. Boldi fa il John Wayne – tanto per continuare questo ardito parallelismo con il western – sciolinando tutto il repertorio di trent’anni di carriera, sperando così di ritrovare il pubblico dei nostalgici che a Natale vogliono solo ridere sguaiatamente di scoregge, forconi infilati nel sedere ed escrementi serviti per cena. Grande cinema, non c’è che dire.
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IL PREMIO di Alessandro Gassmann
Diciamolo subito e fuori dai denti: Fulvio Lucisano e figli andrebbero fermati. Sarebbe eticamente sano porre una quota limite alla realizzazione di queste commediucce perbeniste, garbate e fatalmente pretenziose. Il Paese ne gioverebbe e persino la IIF sarebbe indotta a produrre altro che non sia esclusivamente la proposta di Massimiliano Bruno o Marco Ponti.
In attesa di tale iniziativa di buon senso, ahimé, becchiamoci Il Premio, manco a dirlo, scritto da Bruno – e chi sennò? – e diretto da Alessandro Gassmann. Un road-movie pietoso sul difficile rapporto intergenerazionale tra un padre premio Nobel e due figli diversamente soli e spaventati. Il rischio che il livello dell’imprevedibilità del soggetto sia almeno sufficiente, muore al minuto numero tre, ovvero, quando il personaggio interpretato da Gigi Proietti fa il suo ingresso in scena. Nella costruzione drammaturgica di questo carattere sta tutta la pochezza di visione e di verità della pellicola. Uno scrittore ultra settantenne, appartenente alla Beat Generation, sarcastico, severo, stanco della vita, che non ama i figli e che non possiede più l’ispirazione che gli ha permesso di scrivere dei capolavori. Ma questo viaggio, con un twist davvero imprevedibile, gli farà cambiare punto di vista e ritrovare la bellezza ormai perduta.
Cosi come il suo protagonista, anche Il Premio, si rivela un campionario di banalità, pressapochismi e luoghi comuni, che naufraga nel buonismo più televisivo possibile – quello della Fiction di Rai 1, per intenderci, o dei film di Canale 5 mandati in onda il pomeriggio al mese d’agosto – e confida in un pubblico di lobotomizzati da tubo catodico. Per tutti gli altri, esseri dotati d’intelletto, sensienti e capaci d’intendere e di volere, la visione del terzo film di Gassmann apparirà insopportabile, vuota, ipocrita e banale come la poesia che si trova all’interno dei Baci Perugina. In quel caso, tuttavia, ci si consola con il cioccolato, qui si resta privi di forza e svuotati di ogni gioia di vivere.