La cinematografia di Refn non può essere analizzata se prima non ci si concentra sul fulcro di ogni sua opera, vale a dire il desiderio e l’esigenza dell’autore danese di raccontare sé stesso in tutti i suoi molteplici aspetti. D’altro canto si parla di cinema d’autore proprio quando si è di fronte ad una forte personalità che emerge dall’opera filmica ed è proprio in quel momento che la definizione di Genere perde di significato e i contorni dello stesso non diventano altro che confini sbiaditi della psiche dell’autore.
Come Refn stesso ha più volte dichiarato “Ogni autore ruba e in qualche modo ogni autore parla di sé stesso che faccia cinema, pittura, musica o letteratura.”. Con queste poche parole egli traccia quelle che sono le linee guida della sua arte. In ogni sua opera, dalla più cervellotica fino alla più commerciale, non possiamo fare a meno di notare quali sono i suoi punti di riferimento e non si può fare a meno di notare la maestria con la quale riesce a mantenerli alla giusta distanza da sé; alle volte li vediamo come fari all’orizzonte a far da guida allo spettatore, altre volte invece non possiamo fare a meno di ammirarli come delle montagne che si stagliano sullo sfondo del paesaggio.
Lo scopo dei protagonisti delle sue storie non è quello di raggiungere quelle vette, molto spesso le vedremo semplicemente in lontananza, presenti ma non ingombranti, a farci capire non solo il vissuto dei personaggi ma anche quello del regista e il suo modo complesso di vedere il mondo. La forza di Refn è stata quella di essere stato fin da subito autore di un cinema che possiamo considerare internazionale e ricco di simbologie decifrabili in qualsiasi parte del globo, ovunque ci sia il benché minimo barlume di umanità. Che siano i bassifondi danesi della trilogia di Pusher [1996 – 2004 – 2005] o l’inferno carcerario di Charlie Bronson [2008] oppure l’universo cupo e violento, che a tratti sembra più adatto ad un film sci-fi che ad uno rievocativo una realtà storica, di Valhalla Rising – Regno di sangue [2009], il regista danese ha messo sempre al centro delle sue attenzioni l’essere umano, con il suo ingombrante carico di ego, con il desiderio di superare i propri limiti ma, nello stesso tempo, fuggire da una realtà che non gli appartiene.
Ebbene in tutti questi film, Refn non ha fatto altro che descrivere sé stesso partendo dalla trilogia del Pusher che, seppur imperfetta, lo presentava al pubblico con una certa padronanza del mezzo tipica di chi non si ferma a scrivere film seguendo le classiche regole imparate alla scuola di cinematografia ma, al contrario, forse proprio perché digiuno di tali regole, ha potuto avere la libertà di esprimere la vera essenza del proprio animo. In realtà Refn è tutt’altro che un autore digiuno da nozioni e stilemi cinematografici ma, come ogni buon autore deve fare, egli ha tentato di destrutturare un linguaggio per poi creare il suo, dettando così la propria cifra stilistica.
Inoltre Nicolas Winding Refn grazie alle proprie pellicole è stato in grado di scoprire talenti attoriali che si sono affermati nel panorama mondiale e proprio grazie alla trilogia del Pusher che egli ha scoperto Mads Mikkelsen, artista dal viso scolpito nella roccia che poi rivedremo collaborare con il regista danese per Valhalla Rising, dando l’avvio alla sua sfolgorante carriera cinematografica. Anche l’attore inglese Tom Hardy deve dirgli grazie per averlo scelto per interpretare Michael Gordon Peterson [Charlie Bronson], ovvero uno dei criminali più rissosi e violenti che mai madre natura abbia partorito. Fu proprio grazie a quel film che Nolan lo notò, rimanendo folgorato dalla sua interpretazione, e lo scelse per il ruolo di Bane nell’ultimo capitolo della sua trilogia su Batman.
Ma un vero spartiacque nella carriera di Refn è costituito, nel bene e nel male, dal film Drive [2011], vincendo il premio per la miglior regia a Cannes dove effettivamente ha ottenuto non solo il rispetto del cinefilo più incallito o del critico cinematografico più severo ma anche l’approvazione del grande pubblico che si è lasciato ammaliare dalla semplicità delle sue storie, unita a figure iconiche quasi sospese nel tempo e quel saper miscelare insieme sangue e poetica che spesso gli ha permesso di varcare la soglia del film di Genere propriamente detto. Fino a Drive i suoi film potevano ancora essere etichettati come indipendenti o come comunque aventi quel sapore, anche se a conti fatti non lo erano minimamente.
Da Drive in poi Refn stesso si è reso conto della responsabilità che aveva ottenuto insieme ai successi. Ormai il pubblico al quale si rivolgeva era molteplice e delle estrazioni più diverse per cui questo non ha fatto altro che aggiungere dei dubbi circa il suo operato. Fortunatamente dopo un bel periodo di crisi e dopo una attenta lettura dei tarocchi da parte del maestro Jodorowsky, Refn capisce che essere troppo al servizio del mercato avrebbe snaturato la sua forte impronta autoriale che lo ha consacrato alla stregua di registi di culto e decide di dedicarsi ad un film ricco di allegorie figure altisonanti chiamato Only God forgives [2013], dove consolida la sua amicizia con l’attore Ryan Gosling con il quale aveva collaborato per Drive. Il film, come era prevedibile, non viene compreso dalle masse ma, per chi ama il cinema di Refn, per chi ha fatto suo il sottile cinismo di quell’uomo dominato da quelle figure femminili forti e spietate che lo hanno plagiato e ispirato, questo non può che essere considerato che un ritorno ad un certo tipo di cinema a lui più affine. Le allegorie sono un altro tema centrale delle sue opere, dove tutto è una metafora di qualcosa e come dei contenitori si riempiono di svariati significati, sapientemente condensati dall’autore; non da meno il suo ultimo lavoro, The Neon Demon, dove fa rivivere a suo modo il mito di Madame Bathory, l’essere femmineo speculare di Dracula che punisce l’uomo per le violenze inflitte alle donne e perpetua la propria immortalità e bellezza facendo il bagno e nutrendosi del sangue delle vergini.
Per cui in The Neon Demon si troverà tutta una sfavillante retorica sulla bellezza e la ricerca dell’altrui accettazione, ma anche una personale critica sul mondo dello spettacolo che non fa altro che fagocitarlo con le sue innumerevoli bocche e, quando non può, semplicemente far pressione sulla sua vita privata. Per cui Refn racconta sé stesso, la sua vita, i suoi dubbi, i suoi fallimenti; Refn è il pusher che cerca di vendere i suoi film in qualsiasi modo possibile, Refn è il rissoso in cerca di consensi di Bronson ma, allo stesso tempo, è il guerriero silenzioso che come One Eye, è carico di etica e di rispetto soprattutto nei confronto della terra che gli ha dato i natali. Un altro aspetto che ha sempre influenzato la sua vita è stato l’accostamento con l’altro regista danese punto di riferimento nella cinematografia mondiale vale a dire Lars Von Trier, con il quale Refn ha un rapporto di cordiale distacco e, forse, più punti in comune di quanti lui stesso non ammetta; tutti e due hanno una forte impronta autoriale e attraversano i Generi in maniera trasversale, portano loro stessi e il loro vissuto in scena, forse anche in maniera troppo preponderante.
Per quanto riguarda il cinema del futuro Refn lo vede come una grande sfida, anche per quanto riguarda il mercato mainstream che, secondo lui, ha perso le rigide regole che aveva in passato. Soffermandosi sugli attuali cinecomics egli ha dichiarato che questi film si sono da tempo allontanati da quelli che erano propri di una cinematografia classica e si sono avvicinati sempre di più al concetto di esperienza visiva, per cui meno trama ma più concetti tenuti insieme da un filo conduttore unico che è l’intrattenimento. Per quanto riguarda le sue sfide future Refn si occuperà della serie prodotta da Lucisano Les Italien in qualità di showrunner.
Paolo Corridore