Se il rinomato regista danese sembra, ormai più di venti anni dopo la fondazione ufficiale, aver superato il movimento Dogma 95 [in qualche modo snodo fondamentale del cinema europeo], con questo film è approdato alla narrazione per immagini più affine ad una sensibilità più esteriore ed estetica. Se in Dogma queste sembrano relegate al superamento e alla totalizzazione, qui si ritorna al cinema di intrattenimento affine al mercato e alla distribuzione più larga.
Gli spunti del film sono molti, e spiccatamente intimistici: secondo la tradizione scandinava del cinema, l’umano è fortemente implicato nell’ambiente che lo circonda ma persino i sentimenti umani sono consci di trovarsi all’interno della macchina della finzione [Persona di Bergman come fondamentale dell’umano nel cinema].
Nella Copenaghen degli anni ’70 i coniugi Erik e Anna [lui architetto e lei giornalista televisiva] ereditano una casa in un elegante quartiere della capitale; per dividere le onerose spese di mantenimento della residenza decidono di trasformarla in una comune. E’ così che pian piano la casa diventa un mondo [o meglio, un palcoscenico] in miniatura in cui amanti, segreti e sentimenti danno vita all’eterno gioco della vita.
Il film è dunque quasi un kammerspiel dai toni agrodolci e generalmente più leggeri che, però, differentemente rispetto ai precedenti Il sospetto e Via dalla pazza folla [elegantissimo adattamento dal romanzo di Hardy] analizza la società attraverso i sentimenti individuali e senza giudicare mai il totale; ciò potrebbe sembrare riduttivo e quindi non convincere fino in fondo lo spettatore brechtianamente distaccato [non a caso il film nasce come opera teatrale].
Non anticipiamo nulla dell’intreccio per non spezzare la sottile magia dell’operazione cinematografica ma possiamo certamente dire che l’eleganza e l’originalità della messa in scena, tipiche dell’autore danese, non vengono smentite, anche se non si rasenta il capolavoro come nel caso de Il sospetto.
L’opera di cui stiamo parlando infatti ha un sapore autobiografico [l’autore visse parte della sua infanzia in una comune] e nostalgico, tuttavia non vengono traditi gli psicologismi e la volontà di “disturbare” lo spettatore, cifre fondamentali della quasi totalità del cinema nordeuropeo.
Da una parte insomma si giunge a riflettere sul tutto: dalla ferrea fragilità dell’animo umano alla irraggiungibile utopia democratica su cui tanto si incentra la società scandinava, e sulla quale il cinema si interroga e su cui tiene sempre il dito [o la macchina da presa] puntato.
Merita una menzione particolare la performance attoriale di Trine Dyrholm, meritatamente un’icona realistica e vicina al pubblico del cinema danese contemporaneo: grazie alla naturalezza coniugata all’impostazione teatrale l’attrice è riuscita a conquistare i migliori autori del cinema drammatico e non solo, dando prova di un talento raro da riscontrare in un certo cinema.
Marco Natola
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LA COMUNE
Regia: Thomas Vinterberg
Con: Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen
Uscita in sala in Italia: giovedì 31 marzo 2016
Sceneggiatura: Thomas Vinterberg, Tobias Lindholm
Produzione: Zentropa Entertainments, Danmarks Radio, Det Danske Filminstitut
Distribuzione: BiM
Anno: 2016
Durata: 111′