Home / Recensioni / In sala / IL FIGLIO DI SAUL di László Nemes

IL FIGLIO DI SAUL di László Nemes

il-figlio-di-saul1Claud Lanzmann, autore del monumentale documentario Shoah [1985], che lo ha impegnato per undici anni nei luoghi in cui si è svolto il genocidio nazista, ha affermato che nessuno avrebbe il diritto di raccontare l’Olocausto, se non chi lo ha realmente vissuto sulla sua pelle; una posizione categorica che lo ha portato a decidere di distribuire il film all’estero senza traduzione del parlato né sottotitoli, per non contaminare i documenti audiovisivi raccolti.

Ancora oggi, confrontarsi con la memoria dell’Olocausto non è cosa semplice né scontata, soprattutto perché, nonostante l’evidenza dei documenti [immagini, testi, memoria orale di chi lo ha vissuto], non è riuscita ad impedire ai revisionisti di negare gli avvenimenti storici e mettere in dubbio quei fatti; allora, ogni tentativo di raccontarlo attraverso la finzione narrativa o cinematografica rischia di invalidare quella stessa memoria. Allo stesso tempo sarebbe impossibile tacere su quegli eventi. Riflettere su questi temi è un dovere che va assolto nei confronti della storia e della memoria delle vittime; ciò non riguarda solo la memoria del genocidio nazista, piuttosto è un discorso valido per altri e tanti eventi e realtà segnate dalla ferita della guerra, vittime della dominazione coloniale, di cui costantemente vediamo scorrere le immagini sui wall degli account sui social network, ma che difficilmente riusciamo a comprendere fino in fondo. Come è possibile elaborare un tale lutto? Come poter testimoniare e raccontare un tale orrore?

Nonostante questo, Il Figlio di Saul di Laszlo Nemes sembra rappresentare un tentativo unico nel suo genere di affrontate tali temi, inserendosi in una zona liminare fra ricostruzione storica e realismo psicologico, evitando l’artificio stilistico ed estetico fine a sé stesso e portando la regia e la narrazione cinematografica ad un suo grado zero.

il-figlio-di-saul2Saul Auslander [Géza Röhrig] è un ebreo ungherese, deportato ad Aushwitz. Come altri suoi compagni, Saul è stato scelto per far parte del Sonderkommando, gruppi di ebrei assoldati dalle SS e costretti a prendere parte allo sterminio, accompagnando gli altri prigionieri alle camere a gas, rassicurandoli e facendoli spogliare, accatastando i corpi privi di vita e trasportandoli verso i forni per la cremazione. All’inizio del film veniamo direttamente catapultati nella routine quotidiana di questi “operai”: tutto si svolge metodicamente, con la massima efficienza e a ritmi serrati, come una vera e propria industria della morte, con supervisori che si accertano del rispetto dei ritmi di lavoro e medici che certificano la morte clinica delle vittime.

Lavorando ai forni crematori, Saul nota un cadavere di un giovane ragazzo, in cui è convinto di riconoscere suo figlio. Nonostante il rischio che venga scoperto dai soldati nazisti, Saul decide di prelevare il corpo; ha intenzione di trovare un rabbino e dare a quelle spoglie una degna sepoltura: una scelta, questa, che gli impedirà di collaborare con i suoi compagni nel progetto di ribellarsi alle SS e fuggire dal campo di sterminio.

La sua scelta appare a tutti [anche a chi decide di aiutarlo] del tutto priva di senso; nemmeno il rabbino coinvolto per celebrare le esequie sembra comprenderlo.

In un luogo in cui la sofferenza e la violenza non possono che presentarsi del tutto ingiustificate, Saul, paradossalmente, sceglie di provare a compiere l’unica azione dotata di senso: restituire a quel ragazzo una morte degna di un essere umano.

La camera segue costantemente le azioni del protagonista in lunghi piani sequenza, il suo corpo e il suo volto occupano costantemente il centro dell’inquadratura. Attraverso il corpo lo spettatore viene immerso nel ritmo frenetico e nella fatica estenuante dello svolgimento dei suoi compiti, il tutto sotto la pressione costante dei soldati nazisti; attraverso il volto segnato dal dolore, viene restituito di riflesso l’orrore a cui si assiste quotidianamente, che rimane quasi sempre sullo sfondo, sempre fuori fuoco, relegato costantemente al fuori campo. In questo, l’interpretazione di Géza Röhrig [scrittore e poeta ungherese prima ancora che attore, nel ruolo di Saul] rappresenta forse la vera essenza del film.

il-figlio-di-saul3Il film è stato girato in pellicola 35mm elaborata attraverso i processi fotochimici tradizionali in ogni fase della produzione; il formato scelto è il classico 1:1.37, decisamente meno ampio del formato panoramico; per tutte le riprese viene usato un unico obiettivo 40mm. Totale assenza di gru o carelli nei movimenti di camera, una fotografia essenziale che si concede spesso alla penombra contaminata dalla polvere paglierina del suolo, lunghi piani sequenza totalmente in camera a spalla. Ogni scelta estetica del regista è volta a ridurre all’essenziale ogni espediente stilistico.

L’idea del film nasce dal libro Des voix sous la cenere [in italiano, La voce dei sommersi, edito da Marsilio], una raccolta di scritti di alcuni membri del Sonderkommando, nascosti sottoterra e ritrovati solo molti anni dopo la fine della guerra, in cui si racconta dei ritmi estenuanti di lavoro, della routine quotidiana, le regole ferree e la gestione del lavoro, ma anche il tentativo di dar vita ad una forma di resistenza, unica rivolta armata avvenuta nel campo di sterminio, nel 1944.

il-figlio-di-saul4Anche parte della famiglia del regista è stata vittima dello sterminio di Aushwitz; i racconti dei suoi cari e l’incapacità di afferrare quello che era successo, a detta del regista, hanno segnato tutta la sua giovinezza, almeno fino a quando, con gli anni, non è riuscito ad affrontare questo trauma: da qui probabilmente nasce la sensibilità e la forza che traspaiono attraverso la sua opera prima.

Accolto al Festival di Cannes come film rivelazione e insignito con il Gran Premio della Giuria, Il figlio di Saul riesce a fare a meno della banalità dell’eroismo o della cruda violenza per restituire, attraverso lo schermo, un racconto autentico e toccante, alternando ad una azione del ritmo serrato, profondi momenti di riflessione.

Piero Oronzo

IL FIGLIO DI SAUL di di László Nemes

4 Teschi

Regia: László Nemes

Con: Géza Röhrig

Uscita in sala in Italia: giovedì 21 gennaio 2016

Sceneggiatura: László Nemes, Clara Royer

Produzione: Laokoon Filmgroup

Distribuzione: Teodora Film

Anno: 2015

Durata: 107’

InGenere Cinema

x

Check Also

VESPERTILIO AWARDS 2024: Ecco i finalisti

Brando De Sica, Luna Gualano e Andrea Niada fanno il pieno. Sorpresa ...