Vi parliamo oggi della prima opera filmica ufficiale sulla vita di Kurt Cobain, celebre leader della rock band statunitense degli anni ’90, Nirvana – autorizzata dai familiari.
Tra rumors, progetti mai realizzati e film “tributo”, come il Last Days di Gus van Sant, a nessuno era stato concesso fino ad oggi il lusso di romanzare, raccontare o documentare liberamente – attraverso il video – la vita di una delle rock star più discusse di sempre.
Cominciamo con qualche premessa: questo documentario altro non è che la più completa collezione di elementi utili per tracciare una mappa concettuale della vita di Cobain. Quest’opera, infatti, racconta in ordine rigorosamente cronologico tutti i passaggi fondamentali della vita dell’artista, attraverso interviste, ricostruzioni animate e materiale video riguardante la sua vita privata.
Cobain: Montage of Hech è un lavoro di fino sulla vita di un uomo qualunque – un melanconico qualunque – che, crediamo, riuscirà a farsi apprezzare anche da chi non conosce i lavori musicali della rock star.
La prima parte del film si presenta inizialmente come un documentario piuttosto scontato. Ci sono le interviste ai familiari e agli amici, i video amatoriali che vanno dall’infanzia all’adolescenza di Cobain, e un cartone animato che raffigura i racconti dei suoi diari. Il tutto è intervallato da gustosissime animazioni di disegni e appunti personali che, tra scarabocchi pulp tipicamente underground, schemini confusionari e frasi tanto deliranti quanto poetiche, evidenziano egregiamente la follia e la controversia artistica del Kurt ragazzo.
Già da qui si evince la mania e la melanconia rivoluzionaria del fenomeno “NIRVANA”. I cliché delle cheerleader e dei giocatori di football, la perfezione ostentata anche nella stupidità, non aveva mai avuto grandi avversari.
Neanche Jim Morrison o i Ramones avevano – fino a quel momento – rappresentato a pieno le debolezze del paese e smentito la presunta invincibilità degli Stati Uniti. Non mancano comunque nel film del regista americano, la tragicità decadente dell’umanità marginale in cui il protagonista è cresciuto, e neanche le parole toccanti di Chris Novoselic [bassista della band e amico di Cobain sin dall’adolescenza] e degli altri intervistati.
Ma già da qui l’appellativo di “documentario” comincia a sembrare un termine fuori luogo per l’incredibile presenza di elementi narrativi perfettamente collocati all’interno di una trama diabolica e impeccabile. La seconda parte del film racconta l’escalation che porta al successo la band: qui gli aspiranti musicisti e gli spettatori tutti – ribadiamo, anche chi dei Nirvana non sa nulla – godranno nel vedere tutto il materiale che è stato raccolto per raccontare le prime tournée ufficiali della band. In Cobain: Montage of Hech convivono l’anarchia e l’euforia e – sempre seguendo i diari del protagonista – si percepisce da subito il tormento del successo, il desiderio di emergere contrapposto a quello di scomparire, il voler manifestare a tutti i costi il proprio essere e, contemporaneamente, il profondo rifiuto per le manifestazioni tipiche dell’egocentrico star system musicale statunitense.
Poi arriva l’amore: Courtney Love, moglie di Cobain, ruba in qualche modo la scena al marito, dandogli respiro da un lato, ma rendendolo ancora più fragile e vulnerabile dall’altro. Con gran classe viene raccontato l’inizio del fenomeno mediatico dell’artista, dal momento in cui si intrufolano nella sua vita le attenzioni dei media, l’accanimento di psicologi, dei giudici e dei giornali.
L’ultima parte del film è qualcosa di imprevedibile: le interviste spariscono quasi del tutto – eccezion fatta per Love – e quello che fino a pochi minuti fa sembrava un documentario diventa qualcosa in bilico tra il dogma di Festen di Thomas Vinterberg e Tarnation di Jonathan Caouette.
Le riprese amatoriali del periodo che va dalla nascita della figlia alla morte di Cobain trasformano il documentario in un film vero e proprio: c’è la tensione, il dolore, l’umanità, l’angoscia, l’impazienza di arrivare ad un finale. Insomma, c’è tutto quello che serve a un’opera di finzione per conquistare lo spettatore, un cambio di registro vertiginoso che riesce a lacerare l’anima di chi assiste e subisce gli ultimi momenti di un ragazzo, Kurt, tormentato, portavoce di una generazione, carico di responsabilità difficilissime eppure stanco, esausto, ormai sovrastato dall’ombra di se stesso e dal personaggio generato dalla sua stessa immagine.
Arriva verso la chiusa il backstage dell’unplugged a New York – ultimo concerto dei Nirvana – mandato in onda da MTV nel 1993. Cobain è così lontano da ciò che lo circonda, che la scenografia sembra essere la camera ardente dello stesso. Si continua, poi, a non capire se si ha davanti un eterno dilettante in preda alle turbe adolescenziali, o la figura più vicina all’idea popolare di Gesu di Nazareth o Syddharta.
Forse il merito è tutto del personaggio – o meglio della persona – che è al centro di quest’opera… perderla al cinema sarebbe un errore…
Francesco Rita
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COBAIN: MONTAGE OF HECK
Regia: Brett Morgen
Uscita in sala in Italia: martedì 28 aprile e giovedì 29 aprile 2015
Sceneggiatura:
Produzione: HBO Documentary Films, Public Road Productions
Distribuzione: Universal Pictures
Anno: 2015
Durata: 135′