Inauguriamo oggi una nuova rubrica, dal titolo Opera Manent.
Il senso di questa rubrica sta nell’incontrare attori, registi, sceneggiatori e tecnici cinematografici, che hanno abbandonato, per diverse ragioni il cinema, che ha, comunque, segnato le loro vite. Crediamo infatti, come molti, che il cinema non sia solo costituito da coloro i quali, spesso con molta facilità chiamiamo “artisti”, ma anche da quelli che, magari con ruoli talvolta secondari, hanno contribuito a consacrare un film, una serie tv, o un film a episodi.
Potremmo fare numerosi esempi, ma preferiamo farlo puntata per puntata, con gli intervistati con i quali interagiremo.
Inaugura questa rubrica un ex [piccolo] attore. Vi ricordate il piccolo Rocky Giraldi, il figlio dell’indimenticabile poliziotto Nicola Giraldi? Ebbene, lui, Paco Fabrini, si è reso disponibile per una lunga chiacchierata con noi di InGenere Cinema, riuscendo a farci respirare, con le sue parole, quell’aria genuina e disinvolta che il cinema di genere degli anni ’70 – ’80 aveva.
Come è arrivato al cinema lo racconta Fabrini stesso: la sua infanzia è immancabilmente legata a Tomas Milian, tra gli attori stranieri più amati in Italia, che abbiamo avuto modo di incontrare in occasione della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dove ha tenuto una commossa conferenza stampa, che ha dimostrato, ancora una volta, quando il nostro Tomas sia una persona sensibile, ma soprattutto grato a Roma e alla sua gente, così come tangibile è la nostalgia degli anni vissuti nella capitale, lui che, per tutti, è Er monnezza. E come non ricordare il grande Ferruccio Amendola, tra i migliori doppiatori italiani. È proprio l’umiltà che ci fa amare questo attore, così spontaneo e simpatico. In lui tristezza e allegria si alternano in una strana commistione, tanto che caratterizzare in tal modo la stessa conferenza.
Paco Fabrini non fa più l’attore, ma non ha dimenticato la magia di quell’infanzia contrassegnata dal cinema e dall’amicizia con artisti che hanno contribuito a irrobustire il nostro cinema, come leggerete nell’intervista. Fabrini rivela una personalità forte, una maturità evidente, e un’ironia spiccata. Fabrini può vantare una bella e importante carriera cinematografica, seppur breve, e lui, come pochi, non si è fatto vincere dal successo, riuscendo a tenere i piedi per terra. Ed è proprio il senso di questo equilibrio a qualificare la sua vita e questa piacevole conversazione.
La tua carriera cinematografica è stata breve ma intensa. Hai infatti avuto la grande fortuna di recitare al fianco di un attore tra i più amati:Tomas Milian, in film quali Delitto al Blue Gay, 1984, Delitto in Formula Uno, 1984, o Delitto sull’autostrada, 1982. Si tratta cioè di alcuni tra i film che hanno visto l’attore cubano interpretare il ruolo dell’indimenticabile poliziotto Nicolo Giraldi. Che ricordi hai di Tomas, seppure eri molto piccolo? Come si rapportava a te sul set?
In questo elenco, ahi ahi, manca Manolesta, 1981, già ne ho fatti pochi, me li levi pure?!? Vabè ti perdono perché li sono accreditato come Paco Cardini, cognome di mia madre. Poi se vogliamo essere pignoli ne ho fatti anche altri, ma è più interessante parlare dei film del Monnezza. E partiamo proprio da Manolesta, di Pasquale Festa Campanile. Per quanto mi riguarda è il film più importante perché mi vede protagonista e perché parte tutto da li, dal provino al quale mi portò mia madre, Sandra Cardini, già costumista di Tomas dai tempi delle SQUADRE. Tomas a quei tempi era una vera star del cinema italiano, i suoi western erano leggendari, ed io come tutti i bambini di quei tempi giocavo per strada a indiani e cow-boy, invece che coi telefonini. Avevo appena visto Vamos a matar compagneros; immaginatevi come stavo carico!!! Ma grazie al fatto che Tomas un po’ già lo conoscevo, più di tanto non mi emozionai. Dissi le mie battute con naturalezza e, sponsorizzato da Tomas che credeva in me, fui scelto per questo film delizioso.
Durante le riprese ci trovammo talmente bene che per tutti i film successivi, se c’era un ruolo di ragazzino, Tomas pretendeva che lo facessi io. L’occasione si presentò con il figlio del suo personaggio Nico Giraldi. Cosi, da Delitto sull’autostrada in poi si definisce la famiglia dell’ispettore più amato dai romani: Tomas, Olimpia di Nardo (Saluto sua figlia Vala, cantante di talento) nel ruolo di Angela la moglie, ed io nel ruolo di Rocky, il figlio. Sul set per me era tutto molto facile, proprio grazie all’amicizia che mi legava a Tomas, affrontavamo le scene con grande complicità, spesso ammazzandoci dal ridere; se qualche scena non veniva bene, lui con calma mi consigliava come farla meglio. La confidenza era cosi tanta che non mi facevo problemi a dargli anch’io dei suggerimenti, che lui accettava ammiccando. Mi chiamava “piccolo saggio” e si interessava alle mie opinioni su persone e fatti, si fidava del mio intuito; a volte preferiva seguire dei miei consigli semplici e ingenui piuttosto che quelli di qualche adulto che molto spesso erano guidati da qualche interesse. Credo sia arrivato ad accettare o rifiutare film basandosi sui nostri consigli, miei e di mia madre, che lui considerava quasi una sensitiva, e della quale si fidava ciecamente. Il rapporto lavorativo rese ancora più affiatata la nostra amicizia, io e mia madre lo frequentavamo moltissimo fuori dal set, andavamo a mangiare al ristorante cinese, andavamo in giro per Roma, finendo immancabilmente in qualche bottega di un giocattolaio dove venivo omaggiato di qualche puffo. Veniva a casa nostra in centro, oppure andavamo noi a casa sua in Prati; aveva un salone arredato in stile indiano odoroso di incenso, e ci parlava del santone di cui era discepolo: Sai Baba. Quando mi annoiavo andavo in camera, dove potevo giocare ai primissimi giochi elettronici in commercio che Tomas aveva portato dall’America; oppure obbligavo tutti a giocare a Monopoly; vincevo sempre e provavo una grande eccitazione: Eh eh, non solo ho battuto degli adulti …ma anche il mitico Tomas Milian! Da grande sarò uno spietato uomo d’affari! ….e invece…
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Perché hai lasciato la carriera cinematografica, e di cosa ti occupi attualmente?
Faccio er pizzettaro. Lo dico in romanesco perche faccio la pizza romana. E lo dico così, a bruciapelo, perché mi piace osservare la reazione che provoca a chi me lo chiede, quasi di imbarazzo, come fosse una cosa tremenda rispetto al meraviglioso mondo del cinema. Quasi fosse un lutto! -“…Oh, mi dispiace!” – Mi sembra di leggere negli occhi dei miei interlocutori. Ma io sorrido, e nel mio intimo mi sento fiero di questo lavoro umile e onesto. Spesso mi sento fortunato per questa “disgrazia” che mi è capitata, di guadagnarmi il pane in maniera dignitosa piuttosto che dimenarmi nel carrozzone del mondo dello spettacolo, meraviglioso si, ma anche illusorio, spietato, infido. Certo se adesso arriva un produttore che mi vuole per una settimana di riprese e mi dà 10.000 Euro, non son contento, di più! Però c’ho due figli e non posso aspettare stò produttore, quindi, intanto, faccio le pizze!
Finito il periodo del Monnezza, quando Tomas tornò in America, anch’io lasciai Roma, andai a studiare a Barcellona, dove viveva mio padre vero. Tornai a Roma ventenne, oramai quel ragazzino che aveva fatto qualche film non c’era più, ero uscito dal giro; ma ci potevo rientrare, perché no?
Mi feci fare due foto e mi affidai a qualche agente amico di mia madre, la costumista, che continuava e continua oggi, sempre alla grande, a dividersi tra cinema e teatro. Mi mandavano a fare dei provini dove c’erano centinaia di ragazzi pronti a vendere le proprie madri! Ore di attesa per poi fare dei sorrisi idioti pronunciando il nome di una marca. …Bah… La cosa non mi entusiasmava affatto.
Feci anche una scuola di recitazione, ma la questione era che non avevo quella determinazione feroce imprescindibile per riuscire in un ambiente cosi competitivo. Si, bello il cinema, però ci sono tante altre belle cose.
La musica. Viaggiare. Scrivere fumetti. Ho fatto e continuo a fare un po’ di tutto: Barman, regista di documentari e di spettacoli, aiuto-regista teatrale, giardiniere, musicista, cameriere, disegnatore, direttore artistico di eventi, attore, comparsa, controfigura, collaboratore ai testi e autore di programmi tv; ma quando mi chiedono di cosa ti occupi attualmente, rispondo:
Faccio er pizzettaro.
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Vuoi raccontarci qualche aneddoto sul set che ti ha coinvolto con Tomas?
In Delitto in Formula 1 c’è la famosa scena dei “Bonarensi”, bè l’avremo rifatta tipo 30 volte!!! È una scena molto divertente, e lo era anche per noi che la dovevamo fare, infatti non riuscivamo a trattenere il riso. Ad un certo punto io saltavo in braccio a Tomas, dovevamo essere terrorizzati, ma scoppiavamo a ridere, a volte per colpa mia, altre per colpa di Tomas, e tutta la troupe era costretta a ripetere la scena.
Nello stesso film si vede la grande collezione di Puffi di Rocky; bè quei puffi erano tutti miei! …Ero andato in fissa! Molti di essi mi erano stati regalati proprio da Tomas. Questo è un esempio di come venivano fatti quei film; qualsiasi spunto della vita reale dell’entourage di Tomas poteva essere utilizzato nella sceneggiatura. Qualsiasi episodio divertente capitato a qualcuno poteva essere inserito all’ultimo momento nelle riprese, e soprattutto, qualsiasi battuta o invettiva sentita al bar, rischiava di essere improvvisata sul set dal Monnezza. Poi ce ne avrei un paio su Manolesta, ma siccome non l’hai visto non te li racconto!
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Che rapporti hai oggi con Tomas? Quando ripensi a quegli anni, quali sono le sensazioni e i ricordi più belli e significativi di quell’esperienza d’attore?
Tomas era un attore particolare, lui non interpretava, non recitava, lui ERA.
Viveva sul set mille vite, tanto che oggi lui ricorda più quelle vite che la propria. Era un bandito, un poliziotto, un rivoluzionario, un borghese, e, arrivando a me, un padre. Oltre all’affetto che ci legava e rendeva me, mia madre, e anche mio fratello “amici di famiglia”, a forza di farmi da padre, la finzione ebbe la meglio sulla realtà, e lo diventò veramente.
Spesso si parla di “magia del cinema”; di solito ci si riferisce a qualcosa che succede allo spettatore, che lo fa sognare, che lo fa immedesimarsi nei personaggi, ma a volte la “magia del cinema” avviene anche dentro lo schermo. Poi Tomas partì, andò a vivere a Miami, e per un po’ di anni ci perdemmo di vista; ma l’affetto di un padre di certo non si esaurisce con il tempo, né diminuisce con la distanza. Io gli scrivevo e lui mi telefonava, finche non mi invitò ad andarlo a trovare negli States. Grande fu l’emozione quando lo rividi all’aeroporto di Miami. In quei giorni scoprimmo che nonostante il tempo e i cambiamenti, lui oramai anziano ed io non più bambino , ma uomo fatto e padre di due figli, andavamo d’accordo più che mai. Da quel momento Tomas non si è più separato da me, lo sono andato a trovare un sacco di volte, altre è venuto lui, e io gli sono stato vicino nei momenti belli, tantissimi, e in quelli brutti, come quando morì Rita, sua moglie, e mi telefonò in lacrime.
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Tomas è stato ospite del Festival Internazionale del Film di Roma [16-25 ottobre], come abbiamo già detto sopra, dove ha incontrato la stampa e il pubblico. Nel corso della conferenza ha più volte sottolineato l’amore che ha per Roma, tanto da considerarla la madre che non ha avuto, e emozionandosi più volte. Affermazioni di questo tipo fanno riflettere sul calore che Roma e la sua gente hanno trasmesso a questo attore così sensibile. Come era, guardata attraverso gli occhi di un bambino, la Roma degli anni ’70-’80? Che rapporto hai oggi con Roma?
Tomas non perde occasione di manifestare il suo affetto per Roma ed i romani. Come dargli torto? Come si fa a non amare questa città e la sua gente? Anzi sarebbe meglio dire: Come si fa a non amare la Roma degli anni 60,70 e 80 che ha vissuto lui? Nel senso che oggi questa città si fa amare meno, ma chi la ha amata, continuerà a farlo per sempre.
Tomas però sbaglia quando dice “avrei voluto essere romano”, perché già lo è! Roma ti adotta e ti rende suo figlio, è cosi da 2000 anni, ancor di più per lui, che ha vissuto quella Roma meravigliosa e che poi ha avuto la fortuna di poterla celebrare al cinema, attraverso il suo personaggio. Di certo Tomas ha un grandissimo talento, perché nessun attore NON romano è riuscito a recitare nel ruolo di un “romanaccio” come ha fatto lui, ma tornando al concetto di prima, lui non recita, lui è. Sillogismo. Tomas Milian è romanaccio.
Per quanto riguarda me ricordo con nostalgia la Roma di quando ero bambino, abitavo al centro, giocavo a pallone tra le colonne del Pantheon. Per una cosa del genere oggi vai in galera! A Campo dè fiori tra le urla grevi dei fruttivendoli incontravi registi teatrali e attori squattrinati, sopra il forno ogni tanto s’affacciava Gabriella Ferri, insomma ci vivevano i veri romani. Dove stanno oggi? Boh! Molti in qualche nuovo quartiere periferico, altri fuori Roma. Gabriella Ferri è morta, ma già da un pezzo se ne era andata a vivere a Corchiano. Io invece stò a Ronciglione, a circa 50 Km da Roma, lontano dal caos e dal traffico. Una scelta presa anche per far crescere i miei figli più a contatto con la natura. Quando ripasso per i vicoli del centro, il sentimento predominante è la nostalgia. Mi soffermo ad osservare cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale, ma al di là di queste piccole cose, percepisco quell’eternità, quel giusto aggettivo che si accompagna spesso, al nome di questa città.
Che altro posso dire se non che ringrazio Dio ogni mattina per avermi fatto nascere romano, e soprattutto …romanista!!!
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Con Delitto al Blue Gay, Delitto in Formula Uno, e Delitto sull’autostrada, sei venuto a contatto con un regista e sceneggiatore che al cinema italiano ha dato tanto: Bruno Corbucci. Cosa ha significato per te essere diretto da un regista del suo calibro, e come ti ha diretto sul set?
Bruno Corbucci era una grande artigiano del cinema. Oltre a dirigere tutti quei film ne curava anche la sceneggiatura assieme a Mario Amendola, che era lo zio di Ferruccio, che doppiava er Monnezza; insomma, anche qui si dimostra che quei film erano frutto di una grande famiglia. Per non parlare del fratello di Bruno, Sergio, regista di grandi western, alcuni anche con Tomas, ma questa è un’altra storia.
Una grande capacità di Bruno era gestire Tomas, che comunque aveva un carattere particolare, sensibile, permaloso. Bruno ci riusciva al meglio, assecondandolo quando faceva delle bizze.
Ma Pasqualino Festa Campanile, il regista di Manolesta non era certo da meno, maestro della commedia all’italiana, anche scrittore e sceneggiatore. Peccato che entrambi siano morti.
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“Er Monnezza”, senza Bombolo, interpretato dall’indimenticabile Franco Lechne, nel ruolo di Venticello, non avrebbe avuto la stessa forza e comicità che ha contraddistinto i diversi film della serie. Sei d’accordo? Cosa ricordi della personalità di Bombolo e come ti rapportavi a lui?
In Delitto sull’autostrada ho avuto l’onore di dare un ceffone a Bombolo. Lui mi consigliava di rubare una penna d’oro di un compagno di classe, ed io reagivo come era solito fare Nico Giraldi. Mi dispiaceva colpire quel faccione, non volevo fargli male! Quando andai a vedere il film al cinema ed ascoltai l’effetto sonoro del ceffone provai grande emozione! Quant’era bello quel suono!
Bombolo era un fattore importante per il successo di quei film, era una spalla ideale. Perché il Monnezza è sempre gajardo, non si ride DI lui, ma si ride CON lui. …E allora DI chi si ride? Ed ecco apparire il faccione di Bombolo pronto a ricevere mille sganassoni! Comicità semplice, infallibile.
Bombolo era il re dei caratteristi, sembrava indossasse una di quelle maschere del teatro degli antichi romani. Stà per uscire il libro su Bombolo di Ezio Cardarelli; non vedo l’ora di leggerlo, penso che mi commuoverò.
Gilda Signoretti
Roma, novembre 2014