Gelsomina ha dodici anni e con il padre Wolfgang [Sam Louwyck] e la madre [Alba Rohrwacher], le tre sorelle minori e la zia [Sabine Timoteo] vive nella campagna umbra e assiste il capofamiglia nel suo lavoro di apicoltore. Responsabile e matura la fanciulla resiste a fatica in quel confine tracciato da Wolfgang. L’uomo, ossessionato dall’incombenza d’una prossima apocalisse e dalla naturalezza del miele che produce – porta le api dove sono i fiori e non il contrario – si comporta con la primogenita come se questa fosse un uomo e lei si fa carico di questo ruolo.
Due sono gli eventi che destabilizzano definitivamente la bizzarra famiglia e, di conseguenza, anche la protagonista: l’arrivo di un giovane muto di origini tedesche [Luis Huilca Logroño]che Wolfgang decide di prendere in custodia per andare incontro ai problemi economici della sua fallimentare attività – guadagnandosi così un assegno mensile e un tanto ambito figlio maschio – e il concorso televisivo condotto dalla bella e “cleopatrica” Milly Catena [Monica Bellucci] con relativo monte premi per il miglior prodotto alimentare della zona.
Tutti personaggi caratteristici molto articolati – fatta eccezione per la madre di Gelsomina che resta sempre un po’ troppo mite e non permette alle eccezionali capacità interpretative di Alba Rohrwacher, sorella della regista, di farsi notare – si inseriscono a turno nella trama tra cambi di linguaggio e continue rivelazioni.
Chi ha visto Corpo Celeste – opera prima della Rohrwacher – è già a conoscenza del talento della giovane regista: le atmosfere sono figlie dell’iper-realismo eppure farcite di aneddoti assurdi dal fascino surreale, lo stile a tratti gelido e documentaristico con cui viene fatta vivere la scena è a dir poco impeccabile e la struttura della storia – scritta dalla stessa – scorre durante tutta la durata del film senza ridondanze o demagogie narrative.
Nei migliori film di Lars Von Trier si vive sulla propria pelle la tensione e si impazzisce insieme ai protagonisti, mentre prendono coscienza della totale ed inevitabile impossibilità d’una coesistenza pacifica tra esseri umani. Ebbene, qui le paure e le fragilità della protagonista sono trattenute dalla stessa come se fosse un giovane Vito Corleone. Gelsomina non si piega davanti a nulla e apprende poco a poco pregi e difetti del suo circondario, non rifugiandosi nei sogni segreti ma perseverando con determinatezza, col solo timore di poter perdere una preziosa occasione.
Questo non è semplicemente un film sulla difficile vita di un umile famiglia di campagna, questo è un attacco ad un paese vecchio nell’anima tanto violento e disperato da sembrar quasi il grido rabbioso lanciato al padre da un figlio ribelle. Senza mai beffeggiare l’origine storicamente caratterizzata dal raccoglimento familiare e dall’isolamento intellettuale di questo paese, la regista dipinge con maestria un affresco tanto amaro e riluttante quanto umano e monumentale.
Ma c’è un “ma”: senza rivelare nulla sul finale bisogna obbligatoriamente accennare al fatto che, dopo quasi due ore di perfetto equilibrio tra reale e surreale, il film si chiude con una sequenza vagamente mistica che fa sprofondare tutta l’originalità della pellicola nel più scarso meta-cinema che tanto piace a chi ama chiedere all’amico stupido se “l’ha capito?” il senso del film.
Chi si vuole conquistare? I filosofi della celluloide o un ampia fetta di pubblico che potrebbe apprezzare un bel film anche senza dover codificare messaggi criptici? Si sta parlando di qualcuno a tutti o di tutti per qualcuno?
Questa scelta stilistica è certamente in linea con quelle della protagonista e ciò spinge a sospettare che ci sia una forte dose di auto-referenzialismo in tutta la storia. Sia chiaro che qualora tale intuizione fosse corretta non avrebbe molta importanza – del resto una grossa fetta del cinema d’autore si basa prevalentemente su questo – ma è come se dopo una crescita tanto vertiginosa Alice Rohrwacher abbia preferito conservarsi incompiuta e forse presuntuosamente incompresa piuttosto che osare un finale “concreto” e fedele alla linea.
Malgrado ciò quest’opera merita d’essere vista, perché raramente capita di vivere tante meravigliose suggestioni vedendo un film italiano. E no, non parliamo della Bellucci.
Francesco Rita
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LE MERAVIGLIE
Regia: Alice Rohrwacher
Con: Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Agnese Graziani, Monica Bellucci
Uscita in sala in Italia: giovedì 22 maggio 2014
Sceneggiatura: Alice Rohrwacher
Produzione: RaiCinema, Tempesta, Carlo Cresto-Dina
Distribuzione: Bim Distribuzione
Anno: 2014
Durata: 111′