E lo consegnò nelle mani di una donna.”.
Thomas [Mathieu Almaric], autore teatrale alla prima regia, sta per lasciare il piccolo teatro parigino dopo un’intera, e a suo dire fallimentare, giornata di audizioni.
Il teatrante sta cercando l’attrice protagonista per lo spettacolo che si sta preparando a mettere in scena e, proprio mentre si sta lamentando al telefono con la sua compagna dell’inettitudine delle attrici provinate, le porte del teatro si aprono lasciando entrare Vanda [Emmanuelle Seigner], una donna vestita in modo davvero sui generis e completamente bagnata dalla pioggia battente che sta martellando le strade parigine.
Nato dal desiderio di Polanski di dedicarsi ad un film a basso budget con due soli attori, Venere in pelliccia si presenta come un interessante esperimento del regista polacco di ibridare due linguaggi assai differenti che lambiscono i territori dell’empatia e della comunicazione: quelli del cinema e del teatro.
Per fare questo, Polanski mette in piedi una serie di importanti giochi meta-mediali, per mezzo dei quali riesce a portare organicamente due romanzi [quello seminale e omonimo di Leopold von Sacher-Masoch, e quello del co-sceneggiatore David Ives, da cui il film è tratto] in script.
Uno script continuamente rimbalzato tra cinema e teatro, tra arte interpretativa e improvvisazione [reale o paventata], e, soprattutto, tra i vari livelli di incarnazione di Polanski all’interno delle pieghe filmiche: un regista che si radica nel personaggio del regista messo in scena al punto tale da trasformare un attore capace e compiacente come Almaric in una copia perfetta del Polanski giovane.
E l’attore si ritrova due volte posseduto, la prima dal regista che lo sta dirigendo, l’altra dalla sua compagna di scena [e compagna di vita di Polanski], Emmanuelle Seigner che, magnetica come poche, riesce a trasformare il suo personaggio da attricetta incapace e sfrontata, nella perfetta incarnazione del personaggio adattato dal teatrante dagli scritti di Masoch.
Il duello scenico tra i due interpreti si fa serrato e pungente, per poi scivolare in situazioni ambigue e calde, e ritornare in maniera imprevista all’interno del seminato di un assurdo che sa di pinteriano.
Gioca bene con i suoi attori e con gli spettatori, Polanski, compiacendosi forse un po’ troppo, fino a cadere nel gap dell’esasperazione.
Il dittico cine-teatrale, infatti, rotola in maniera un po’ più goffa e inefficace nella sua seconda parte, annichilendosi, e anestetizzando lo spettatore, nel triplo gioco di specchi, che vuol vedere incarnarsi l’inetta attrice fattasi diva in direttrice del gioco scenico/psichiatra, e il regista in fantoccio nelle sue mani, fino al completo transfert uomo-donna [e anche qui la possessione di Polanski del corpo di Mathieu è tangibile e visibile].
Il finale, poi, tracolla in una parodizzazione del bel lavoro portato avanti fino ad un certo punto, e l’erotismo autoriale, palpabile, svanisce proprio nell’incontro del corpo nudo e giunonico della Seigner.
Luca Ruocco
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VENERE IN PELLICCIA
Regia: Roman Polanski
Con: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
Uscita in sala in Italia: giovedì 14 novembre 2013
Sceneggiatura: David Ives, Roman Polanski
Produzione: R.P. Productions, MonolithFilms, Polish Film Institute
Distribuzione: 01 distribution
Durata: 96’
Anno: 2013