È di pochi giorni fa la triste notizia dell’interruzione della distribuzione da parte della storica Sacher, costretta a tirare i remi in barca dopo sedici anni di onorata attività sul campo alla continua ricerca di quel cinema di qualità che non si riconosce nelle logiche del mainstream. A tal proposito, la chiusura della società di Nanni Moretti rappresenta l’ennesimo campanello d’allarme di una situazione sempre più destinata al collasso. Di fatto, scegliere di percorrere una simile strada distributiva comporta inevitabilmente una percentuale di rischio piuttosto elevata, forse per questo motivo realtà come la Bim, la Fandango o la Lucky Red, hanno deciso di allargare la propria offerta affiancando al cinema d’autore qualcosa di più commerciale per riuscire a fare quadrare i conti. Non si tratta, però, di una mancanza di coerenza, ma di puro spirito di sopravvivenza. Tuttavia, esistono ancora case di distribuzione che non vogliono per nessuna cosa al mondo allontanarsi dalla missione iniziale. Per cui chiamatela come volete: follia, orgoglio, testardaggine o caparbietà, ma è alla Sacher e a tutte quelle come essa che vogliamo dedicare questa recensione.
Tra queste un plauso particolare va alla Teodora Film che continua imperterrita a resistere in un mercato schizofrenico e machiavellico come quello nostrano.
Probabilmente, anzi sicuramente, senza la lungimiranza e il coraggio dimostrati da Vieri Razzini e dall’intero staff della casa di distribuzione capitolina, molte delle perle straniere che abbiamo potuto apprezzare in questi anni non avrebbero mai trovato spazio nelle sale italiane, così come altrettanti cineasti più o meno conosciuti oltre confine sarebbero rimasti dalle nostre parti ancora dei perfetti sconosciuti. È il caso di Călin Peter Netzer e della sua opera terza Child’s Pose, nei cinema a partire dal 13 giugno con il titolo piuttosto fuorviante Il caso Kerenes [è piuttosto palese il tentativo della distribuzione italiana di solleticare gli appetiti della platea attraverso un titolo che richiama alla mente l’immaginario giallo o thriller, quando il film non lo è affatto], acquistato durante l’ultima edizione della Berlinale prima ancora che si aggiudicasse l’Orso d’Oro e il premio della critica internazionale.
Se da una parte si devono sottolineare i meriti della Teodora di averlo acquisito in tempi non sospetti, dall’altra bisogna mettere in evidenza la cecità dimostrata dall’intero apparato distributivo tricolore nei confronti del pluri-premiato regista rumeno, le cui pellicole precedenti sono ancora oggi inedite in Italia, nonostante il numero considerevole di riconoscimenti raccolti nel circuito festivaliero internazionale. Stiamo parlando di Maria, esordio dietro la macchina da presa targato 2003 che si è aggiudicò il premio Speciale della Giuria a Locarno e una candidatura agli European Film Awards, e del successivo Medaglia d’oro del 2009, capace di portarsi a casa ben cinque premi al Thessaloniki International Film Festival. Ma a quanto pare per Netzer non vige la regola del non c’è due senza tre.
I due riconoscimenti ottenuti alla kermesse tedesca possono rappresentare un motivo di attrazione per il pubblico, o almeno per una parte di esso, così come era accaduto al film di Cristian Mungiu, 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2007. Per entrambe le pellicole quegli allori sono stati determinanti, utili come non mai ad accendere quantomeno una luce su una cinematografia, quella rumena, che dal 1998 ha messo le basi per un’autentica rinascita grazie al lavoro dietro la macchina da presa di cineasti come Pintilie, Mihăileanu, Puiu, Paunescu, Mitulescu, Popescu, Sitaru, oltre ai già citati Mungiu e Netzer.
Dentro Il caso Kerenes è possibile rintracciare gran parte degli aspetti chiave presenti nella scuola di appartenenza, tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello più strettamente tecnico-stilistico. Lo scambio simbiotico tra scrittura e messa in quadro è, infatti, alla base di tutto e contribuisce a fare in modo che vengano a galla quei caratteri personali e riconoscibili di un certo modo di produrre e concepire la Settima Arte in Romania. Netzer firma un dramma di grandissima intensità e potenza espressiva, che dopo una ventina di minuti circa di rodaggio esplode letteralmente fino a un epilogo straziante di fronte al quale non si può rimanere indifferenti, offrendo al pubblico un racconto che sa come accarezzare e schiaffeggiare le corde del cuore.
Il risultato è una storia di perdono e presa di coscienza che lascia nel fruitore un senso di angoscia e disagio, davvero difficile da scrollarsi di dosso anche dopo molte ore dalla visione. Questo perché ciò che scorre sul grande schermo instaura con il singolo spettatore una forte empatia. Lo script lavora in maniera efficacissima su due possibili livelli di lettura, che finiscono a loro volta per guidare e sostenere il plot: da una parte una dimensione socio-antropologica che mostra senza filtri o cliché la Romania di questi anni, così maledettamente simile all’Italia per comportamento e vizi [intrallazzi, scorciatoie e raccomandazioni], dall’altra una sfera più intima e familiare che scava nelle dinamiche affettive di un focolaio domestico. Ed è proprio l’equilibrio tra la descrizione di una Società corrotta e malata, fondata sul malcostume e su un profondo baratro fra le classi sociali, e il rapporto maniacale e ossessivo di una madre nei confronti del proprio figlio, il baricentro del film.
Tale sottile equilibrio passa attraverso un linguaggio crudo e diretto, frutto di un realismo che richiama al cinema cieco e russo degli anni Sessanta, dal quale prende una scrittura solida e un ottimo disegno dei personaggi, al quale ci sentiamo di accostare anche delle influenze provenienti da autori come Cassavetes e i fratelli Dardenne. Da quest’ultimi, Netzer ha fatto suo uno sguardo semi-documentaristico che estirpa dalla superficie filmica l’artificio, per lasciare spazio alla naturalezza. La macchina da presa osserva i corpi e cattura le situazioni rimanendo invisibile, sempre in disparte quasi a volere spiare ciò che accade. Lunghe inquadrature a mano, che rinnegano in tutto e per tutto la grammatica classica che vuole l’utilizzo spasmodico del campo controcampo, raccontano con glaciale sicurezza gli accadimenti, mentre davanti a noi i continui scambi di sguardi complici o ammonitrici, i gesti trattenuti o forzati tra i personaggi, sono la base drammaturgica sulla quale pesano come macigni i silenzi assordanti e le mezze parole. Il resto lo fa il cast capitanato da una gigantesca e immensa Luminiţa Gheorghiu, alle prese con un ruolo complesso come quello di Cornelia, madre disposta a fare qualsiasi cosa per difendere il proprio figlio, anche davanti all’evidenza.
Francesco Del Grosso
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IL CASO KERENES
Regia: Călin Peter Netzer
Con: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Florin Zamfirescu
Uscita in sala Italia: giovedì 13 giugno 2013
Sceneggiatura: Călin Peter Netzer, Răzvan Rădulescu
Produzione: Parada Film
Distribuzione: Teodora Film
Anno: 2013
Durata: 112’