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FESTIVAL DELLE TERRE AL NUOVO CINEMA AQUILA

festival_delle_terre_II.jpg_415368877Lo scorso 7 Maggio 2013, presso il Nuovo Cinema Aquila, è stata inaugurata la decima edizione del Festival delle Terre [www.festivaldelleterre.it], che, per la prima volta, riceve l’ospitalità in un cinema, il Nuovo Cinema Aquila, appunto.

A presentare la serata è Antonio Onorati, presidente del Centro Internazionale Crocevia [un’associazione di solidarietà e cooperazione internazionale attiva nel 1958 nei settori dell’educazione, della comunicazione e dell’agricoltura, promuovendo attività di formazione e diversi progetti a sostegno delle comunità indigene e contadine], nonché membro del Comitato internazionale della sovranità alimentare.

Il Festival delle Terre, che si concluderà venerdì 10 Maggio, e il cui programma potete consultare qui, compie ogni anno una selezione dei migliori documentari nazionali e internazionali, che hanno come soggetto la terra, intesa dal punto di vista agricolo, ma anche come luogo fisico in cui ogni uomo lotta e ha lottato per la difesa dei diritti civili. È dunque il campo dell’audiovisivo, padre fondatore di una preziosa memoria collettiva, di cui siamo eredi, il perno intorno al quale si muove questo festival. La prima giornata del Festival è dedicata al Cile. Sono infatti stati presentati tre documentari, due dedicati alla dittatura di Pinochet, l’altro invece dedicato ad una vicenda drammatica che ha fatto il giro del mondo. Ma andiamo con ordine.

chile-261x200Calle Miguel Claro 1359 è un documentario del 2006, diretta da Tommaso D’Elia, Daniela Preziosi e Ugo Adilardi, 2006, e che è stato presentati in collaborazione con l’AAMOD [Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico]. L’11 Settembre 1973 è un giorno importante per la storia del Cile, il primo, terribile giorno, di una delle più feroci dittature, quella di Augusto Pinochet, che sarebbe durata per ben quindici anni. Quel giorno, con un colpo di Stato, Pinochet si proclamò capo del Cile e comandante delle forze armate, deponendo il governo democratico di Salvador Allende. Calle Miguel Claro 1359 parte da quel giorno per raccontare la disperata fuga degli “asilati” politici, meglio conosciuti come desaparecidos, quella stragrande maggioranza di cileni contrari alla dittatura di Pinochet, che si rifugiarono nell’ambasciata italiana [Aldo Moro era Ministro degli esteri], dove trovarono ospitalità fino all’Aprile del 1975, fino a quando anche l’ambasciata venne chiusa, e la paura di non avere più neanche una via di scampo terrorizzava i cileni.

In Calle Miguel Claro 1359 a parlare è la gente comune, vittima delle violente repressioni dell’esercito di Pinochet, ma anche gli stessi ambasciatori italiani di allora, che ricordano quegli anni spiegando l’estrema difficoltà nel soccorrere gli “asilati”, sperando di non essere scoperti dall’esercito del dittatore. A testimoniare è anche il figlio di Lumi Videla, moglie di Sergio Perez, dirigente del Mir [Movimento rivoluzionario di sinistra], movimento marxista, che, in seguito all’assassinio del marito, venne sottoposta a lunghe torture, a causa delle quali morì. Non manca l’intervento di Miguel Littin Cucumides, regista impegnato e militante, che fu esiliato durante la dittatura,  autore del documentario Acta General de Cile, girato nel 1985, un vero ritratto del Cile di allora, ma che riuscì ad entrare in Cile clandestinamente, riuscendo a sfuggire all’esercito cileno.

Tommaso D’Elia, Daniela Preziosi e Ugo Adilardi si muovono in quelle zone del Cile che sono legate indissolubilmente a Pinochet e al suo spietato esercito, come la torre del centro clandestino di Villa Grimaldi, dove venivano torturate le vittime del regime, o il Patio 29, il cimitero di Santiago, nel cui terreno sono piantate, una affiancata all’altra, un numero impressionante di croci, ad indicare la sepoltura delle vittime cilene. Sono passati molti anni da allora, ma il ricordo è sempre vivo nella gente, che ancora oggi ricorda con commozione quel periodo, che fa ancora male, come dimostrano le lunghe pause dei testimoni.

“Qui è passato il balsamo dell’amnesia”, così si esprimeva Luis Sepulveda a proposito della dittatura di Pinochet.

foto-2Calle Miguel Claro 1359 è un documento prezioso che unisce passato e presente, che ci racconta  un Cile tutt’ora attivo, che ancora combatte per il riconoscimento dei diritti civili, e alla ricerca di una democrazia vera, che ancora si nasconde, però, sotto le ali dell’oppressione.

Cile: immagini del paese invisibile, di Augusto Gongora, è stato girato nell’estate del 1989, durante la campagna politica che precedeva un importante referendum, indetto da Pinochet, messo sotto pressione dall’America e dai paesi occidentali. L’intera popolazione cilena era chiamata a scegliere tra la fine della dittatura di Pinochet, con un NO, o la sua prosecuzione per altri otto anni, con un SI. Il documentario mostra, attraverso manifestazioni di piazza e dichiarazioni spontanee dei cileni, un Cile diviso tra sostenitori della dittatura e democratici, questi ultimi propagandatori di un futuro non troppo lontano nel quale la libertà è il primo diritto da rivendicare insieme ai diritti umani e civili calpestati dal regime di Pinochet. Sostenuti da gran parte dei cileni, vincerà il NO.  I fautori del NO,  molto abili nello sfruttare l’impatto dei media, in particolare della tv, fecero una campagna pubblicitaria all’insegna dell’ottimismo, e lontana dai sentimenti quali l’odio o la rassegnazione, per infondere nella gente la voglia di cambiare il Cile e tornare a vivere democraticamente. Nessun attacco duro alla dittatura, quindi, nei contenuti degli slogan, ma ambiziosi progetti per la ricostruzione e la crescita economica.

Augusto Gongora intervista i protagonisti della campagna del NO, e inserisce nel suo documentario diversi spot pubblicitari mandati in onda in quella decisiva estate dell’89. Ogni sera, infatti, andavano in onda, per una durata di 15 minuti, gli interventi delle due fazioni, quella del SI e quella del NO, condotte da due  conduttori televisivi. Ma il regime, che sentiva quanto fosse alta l’ostilità della maggior parte dei cileni, cercò, prima con minacce, poi attraverso dure censure, di bloccare lo spazio televisivo dell’opposizione, ma senza riuscirvi pienamente. P. Banãdos, conduttore televisivo, fu estromesso dalla tv per via delle sue scelte politiche, per poi tornarvi proprio quell’anno, per presentare lo spazio propagandistico per il NO. Gongora intervista il team della squadra del NO, così come il compositore delle musiche, Aguirre, ideatore del tormentone “Cile, l’allegria già viene”, nel quale si incitavano i cileni a respirare l’aria del cambiamento e dell’allegria, perché la tristezza e la paura, apponendo un NO, sarebbero state lasciate alle spalle.

Cile: immagini del paese invisibile  è un documentario particolarmente avvincente perché racconta una rottura politica importante, attraverso il coraggio di milioni di cileni che trovarono il coraggio di scendere tutti insieme in strada senza più subire le violenze militari ordinate ai suoi uomini da Pinochet, proclamando un nuovo corso, di storia e di vita, da loro deciso. Gongora costruisce molto bene questo documentario, accostando testimonianze e immagini dell’epoca, con un montaggio davvero ben lavorato.

Nada más que eso, di Giovanna Massimetti e Paolo Serbandini, 2011, è invece la storia dei 33 minatori rimasti intrappolati nella miniera di San Josè il 5 Agosto 2010. Se le telecamere delle tv di tutto il mondo erano collocate proprio di fronte la miniera, circondata da una folta squadra di soccorritori, alle loro spalle vi erano i parenti delle vittime e tanti altri cileni accampati nei dintorni, sistemati con le tende, per seguire da vicino tutte le operazioni di soccorso. Da questa terribile sciagura, che si concluse felicemente due mesi dopo, scaturirono una serie di manifestazioni di protesta da parte di 300 minatori  cileni licenziati in quell’estate, in cerca di un’attenzione mediatica con la quale risaltare agli occhi del mondo e trovare sostegno, che protestavano contro un governo, quello cileno, accusato di non garantire la sicurezza del lavoro e non assicurare i diritti dei lavoratori, che chiedevano anche un aumento salariale.

Nada más que eso è una toccante testimonianza di solidarietà, di sofferenza, ma anche di rabbia, che prende spunto da una storia drammatica dal lieto fine per denunciare la mancanza di misure di protezione e prevenzione sul lavoro in Cile. I due registi si muovono quindi in due contesti, quello dei 33 minatori salvati, e quello dei 300 minatori manifestanti, riuscendo a ricavare dal rapporto con la gente, vittime a parte, testimonianze e riflessioni molto acute sulla condizione degli operai. È dura ricominciare a vivere, per i 33 minatori, considerando che, pur avendo scampato la morte, ognuno di essi ha riportato diversi problemi fisici e di salute: c’è chi ha perso un arto, o  la limitato la propria capacità motoria, così da essere impossibilitato anche solo a tenere in braccio il proprio figlio. Bella la fotografia, che spesso stacca su panorami larghi ed estesi, in contrasto con le poche immagini che vediamo, buie e claustrofobiche, del tunnel dove si trovavano i minatori prigionieri.

Gilda Signoretti

Calle Miguel Claro 1359, il trailer:

 

 

Nada más que eso, il trailer:

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