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AFTER LIFE di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo

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Agnieszka Wojtowicz-Vosloo è una regista polacca, che, nel 2010, ha esordito con il suo primo lungometraggio: After life, di cui ha curato anche il soggetto e la sceneggiatura, con il marito Paul Vosloo e Jacub Korolczuk.

Bistrattato ingiustamente dalla critica, After life è tuttavia un buon esempio di come si possa costruire un thriller facendo perno su pochi, ma validi, elementi. Non si tratta di un horror, come erroneamente viene indicato dai più, purché da questo Genere erediti qualche richiamo. Il film, infatti, è più riconducibile ad un film di suspense dai risvolti assurdi e drammatici.

Anna Taylor [Christina Ricci] è una giovane insegnante di una scuola elementare. La sua vita è sormontata da continui sensi di colpa e paure ereditate dalla madre, una figura arcigna, dalla quale Anna si tiene distante. Paul [Justin Long], con cui ha una relazione, è l’unico a darle affetto, ma è proprio per la paura di amare, che Anna cerca di divincolarsi da Paul, provocandolo inconsapevolmente. Un equivoco alquanto strano [Paul vorrebbe chiederle di andare a vivere con lui, ma il suo discorso viene frainteso da Anna, che capisce, o forse si convince di capire, che lui voglia lasciarla], la spedisce di netto verso il regno dei morti.  

Ed eccola correre incontro al suo destino, esattamente verso quel confine in cui anima e corpo stanno per scindersi, e ci ritrova a metà  tra la vita e la morte. Il problema, per Anna, sarà quello di accettare la sua condizione di morta, situazione davvero al limite del reale che la vedrà appigliarsi agli ultimi ricordi di vita, ostinandosi a cercare di combattere il suo probabile decesso.

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Il suo presente [forse vero, forse apparente] è un obitorio, dove la donna fa la conoscenza del signor Deacon [Leam Neeson] preparatore di cadaveri e gestore di una ditta di pompe funebri, nonché medium. La sua personalità risulta da subito ambigua, perché se da un lato l’uomo assume le fattezze di un carismatico sensitivo, dall’altro inizia ad atteggiarsi da carnefice, ed è su questo doppio gioco che, drammaturgicamente, si regge tutto il film. Anna dovrà fidarsi di lui o fuggire? Cosa ci fa credere che lei sia davvero morta? Esistono prove tangibili, reali?

Conquista l’attenzione dello spettatore questa continua alternanza di ruoli dei due protagonisti: il morto-non morto, e il sadico-non sadico, che mettono l’osservatore prima nella condizione di credere, poi di non credere, e di nuovo credere, persuadendolo continuamente, fino a non essere più capace di discernere il vero dal falso, il sogno dalla realtà.

L’atmosfera del film è funerea fin dall’inizio, perché il volto immobile di Anna, che sta facendo l’amore con Paul, è già presagio di morte, ancor più la sua doccia insanguinata, o il suo arrivo al ristorante, preceduto dall’apparizione del suo volto riflesso nel vetro della finestra del ristorante. È da lì che il suo viso assume sempre più delle sembianze malate e stanche, il pallore è accentuato dal rosso dei capelli, quel rosso che è ossessione visiva costante.

Jack [Chandler Canterbury] alunno di Anna, condivide con lei il dolore per l’abbandono della madre. Sua madre, infatti, è una non-morta [si rimane col dubbio se la donna sia drammaticamente sempre distante e accasciata sulla sua poltrona a guardare la tv, o se addirittura si tratti di un cadavere imbalsamato]. Oltre ad Anna, il ragazzino si rapporta con il signor Deacon, che lo convince di condividere le sue stesse doti sensitive. È infatti solo Jack, oltre al preparatore di cadaveri, ad aver visto Anna in piedi dopo il suo trapasso.

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Liam Neeson è davvero inquietante. Molto contenute sono le espressioni, sia perché il suo personaggio non ha niente di cui essere felice, dal momento che si scontra ogni giorno con i nuovi morti da imbellettare, e sia perché la sua enigmaticità deve rimanere tale anche sul finire del film. Il mistero, infatti, anziché restringersi, si acuisce, e si porta con sé anche il dubbio se davvero Jack abbia il dono della comunicazione con i morti, o se non sia una vittima del suo istitutore Deacon.

Le movenze leggere di Anna, una volta accettata la sua condizione di morta [e smessa la sottoveste rossa, per recitare la parte del cadavere], spezzano con sinuosità il legame con la vita, e ne esaltano la delicatezza del corpo.

After life è un film seducente, non solo perché si allaccia ad una tematica, quella della morte, già attraente di suo, ma perché si contorna di suoni, colori [il rosso, su tutti], ambientazioni [pensiamo soltanto alla splendida dimora del signor Deacon], segni di vita e di morte, e di immaginazioni complementari. Anche il ritmo serrato del montaggio, frapposto a continui rimandi alla vita che fu, e al momento finale del trapasso [con Anna nella bara, e le donne del posto che la apostrofano come fosse una strega, facendole espellere il diavolo che porta con sé, sotto forma di vermi], aiutano a tenere desta la tensione, e a confondere ancora di più le idee.

Gilda Signoretti

 

Regia: Agnieszka Wojtowicz-Vosloo

Con: Christina Ricci, Leam Neeson, Justin Long, Chandler Canterbury

Sceneggiatura: Agnieszka Wojtowicz-Vosloo, Paul Vosloo, Jacub Korolczuk

Produzione: Plum Pictures, Constellation Entertainment, Lleju Productions, Harbor Light Entertainment

Anno: 2010

Durata: 104’

InGenere Cinema

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