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DEAD MEAT di Conor McMahon

Ancora un altro regista [il giovanissimo Conor McMahon qui, 2004, al suo primo lungometraggio] che sente di dover dedicare la sua prima opera filmica a papà George A. Romero che, di certo, nel lontanto 1968, anno di uscita del suo La notte dei morti viventi, non sarebbe riuscito neanche lontanamente a immaginare quanti altri film avrebbe in futuro ispirato proprio con quel suo primo lungometraggio indipendente, in cui aveva ridato “vita” [almeno cinematograficamente parlando] ai morti.

Conor McMahon, nel suo Dead Meat, cerca innanzitutto di contestualizzare lo scatenarsi dell’epidemia, contemporaneamente al diffondersi del morbo della mucca pazza, nelle campagne irlandesi.

In verità, il discorso non è affatto sviluppato, all’interno della pellicola, solo qualche accenno sparso nei dialoghi fra i personaggi, e l’attacco [anche un po’ immotivato] di una mucca rediviva che si tramuta nella più pericolosa tra le creature mangiatrici di uomini.

 

Dead Meat si porta dietro davvero tante falle, a partire proprio da quelle di una sceneggiatura spesso acerba, che parte con la supportabile motivazione di voler, in qualche modo, ricreare e ricontestualizzare i “living dead” all’interno di una tematica decisamente conosciuta dai più, come potrebbe essere quella del morbo della mucca pazza, ma che in realtà non si muove con decisione verso questa direzione.

Una trama vera e propria, difatti, non esiste, le vicende si susseguono monche, mal raccontate, meglio sarebbe stato, a questo punto, non cercare affatto di fornire motivazioni per poi lasciarle morire del tutto, come di fronte ad un errore da insabbiare.

Come nello script, McMahon tradisce l’acerbità della sua opera prima anche attraverso le scelte tecnico-registiche che, se da un lato [soprattutto durante la prima parte del lungometraggio] riescono a restituire un senso di “nuovo”, o di “poco visto”, grazie alla scelta di inquadrature, colori e al movimento degli attori al’interno della scena, alla lunga non possono che diventare il palesarsi dell’insufficiente preparazione di chi dirige il carrozzone.

Il tutto inizia a perdere credibilità con l’accavallarsi dei personaggi, a causa della commistione tra la difficoltà di una prima messa in scena e l’umorismo nero di cui il regista vorrebbe pervadere la pellicola [la bambina in sovrappeso che vorrebbe sfuggire ai due protagonisti attraversando, correndo, le sbarre di un cancello, ma che alla fine rimane bloccala all’interno; la moglie del vicino di casa che viene scambiata per morta vivente a causa del suo portamento molto approssimativo; o le smorfie del volto sempre teso del vicino].

 

Essendo un prodotto lowbudget, Dead Meat si trova a dover fare i conti anche con un inefficace uso degli effetti speciali, che vorrebbero essere abbondanti e splatter, cosa che riescono in parte a fare, se non fosse per certi picchi [negativi], che riportano il tutto in basso: teste troppo finte che ruzzolano via dopo la decapitazione, o il make-up di alcuni morti viventi talmente lieve da sembrare inesistente!

Anche la scelta di affrontare la notte di resistenza dei survivors alla luce fioca di una torcia, contornando i nostri eroi col nero più assoluto, è un’idea interessante che, però, non può reggere per tutto il tempo che McMahon decide di utilizzarla.

L’amore citazionista sta per Romero sfocia in un finale che arriva idealmente ad unire La notte dei morti viventi a La città verrà distrutta all’alba [1973]. In definitiva Dead Meat è un lungometraggio con molte limitazioni, ma che riesce a trasudare la passione del suo regista per i film che l’hanno instradato sul cammino del cinema di Genere; la speranza è che il suo cammino professionale lo porti a lavorare sodo per proporre [in modo adeguato] idee di certo più personali e meglio sviluppate.

Luca Ruocco

Regia: Conor McMahon

Con: Marian Araujo, David Muyllaert, Eoin Whelan, David Ryan

Durata: 80’

Formato: widescreen

Distribuzione: 01 Distribution – One Movie [www.onemovie.it]

Extra: /

InGenere Cinema

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