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MISS PEREGRINE – La casa dei ragazzi speciali: Incontro con Tim Burton

Abbiamo incontrato Tim Burton in occasione dell’uscita in sala italiana del suo ultimo film: Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali. Di seguito il report della conferenza stampa.

[InGenere Cinema]: Qual è stata la scintilla che l’ha portata a lavorare ad un romanzo complesso come “La casa dei bambini speciali di Miss Peregrine” di Ransom Riggs?

[Tim Burton]: Per prima cosa il titolo: “Peculiar Children”, cioè bambini peculiari, singolari. È come se il titolo mi avesse parlato facendomi così ricordare la mia infanzia, perché sono stato un bambino di quel tipo. E poi il modo in cui Ransom Riggs ha messo insieme gli ingredienti della storia, partendo da vecchie fotografie. Io colleziono foto e quando ne guardi una datata ti viene racconta una storia, ma non tutta, così da conservare quella parte inquietante, poetica, potente e misteriosa. Insomma, mi è piaciuto molto il modo in cui Ransom ha messo insieme la storia attraverso queste fotografie.

[InG]: In questo suo film la diversità viene difesa con orgoglio da chi non la comprende e la teme. Da bambino ha avuto anche lei una casa con dei ragazzi speciali in cui rifugiarsi, una Miss Peregrine, un nonno, qualcuno che l’abbia accompagnata verso la scoperta di sé?

[TB]: Sono cresciuto in una cultura che ha amato dividere le persone in categorie, ma sono stato fortunato per certi versi. Ho avuto una nonna che mi sosteneva e accettava le mie peculiarità. Ho avuto un insegnante d’arte che mi incoraggiava ad essere me stesso, a dare il massimo e questa è stata una cosa molto rara. Bastano solo un paio di persone in grado di supportarti, di guardare verso le tue particolarità e che ti permettano di accettarle e di farle fiorire. Fortunatamente, penso che chiunque abbia avuto almeno una persona di questo tipo nella propria vita.

[InG]: In che modo ha lavorato all’adattamento del romanzo? E come è riuscito a fonderlo ancora di più con il suo personale mondo visivo?

[TB]: Non avevo sentito parlare del libro, ma appena l’ho visto e ho letto il titolo “Peculiar Children”, mi è subito ritornato in mente un libro che avevo scritto io, cioè Morte malinconica del bambino ostrica. Sono piccole storie su bambini speciali, anche se molto diverse dal libro di Riggs, ambientate in un mondo molto simile. Quindi mi sono immediatamente connesso con il romanzo anche grazie ai miei “bambini speciali”. Poi, leggendolo, mi sono sentito molto vicino al personaggio di Jake, al suo sentirsi un teenager fuori posto, a questo suo sentirsi quieto e allo stesso tempo strano a livello interiore. È qualcosa con cui mi è stato facile relazionarmi.

[InG]: “Miss Peregrine” è entrato a fare parte, insieme a “Ed Wood” e “Sweeney Todd”, di quei suoi film senza le musiche di Danny Elfman. Come mai?

[TB]: Nel caso di Ed Wood è successo perché era impegnato e anche perché avevamo litigato durante la lavorazione di Nightmare Before Christmas. Siamo come una coppia che continua a lasciarsi e a rimettersi insieme. Naturalmente Sweeney Todd, essendo tratto da un musical di Broadway, aveva già le musiche scritte da Stephen Sondheim, quindi non c’era bisogno di un suo coinvolgimento. Nel caso di Miss Peregrine era già impegnato, ma lavorerò ancora con lui. È uno dei miei amici e collaboratori più fidati, quindi torneremo sempre a lavorare insieme. È come se stavolta si sia preso una vacanza da me!

[InG]: Cosa preferisce fra la stop motion e la CGI? E come decide se usare l’una o l’altra?

[TB]: Amo la stop motion. Mi sta molto a cuore, perché la puoi sentire per davvero, ha la caratteristica di essere tattile. È veramente molto bella e le persone che realizzano i pupazzi da animare creano delle vere e proprie opere d’arte. La amo perché è la più palpabile, la più speciale, ma anche i computer sono comunque stupefacenti. Per questo film abbiamo realizzato una lotta fra due bambole a passo uno, ed è stata una decisione dettata dal tempo a disposizione, perché la stop motion richiede un lungo procedimento. Ecco perché si sceglie di utilizzare una cosa invece che l’altra.

[InG]: Come mai ha puntato ad un finale più autoconclusivo, diverso rispetto al romanzo di Riggs? L’ha fatto per lasciare un’impronta personale o perché non ha intenzione di proseguire con l’adattamento dei romanzi successivi?

[TB]: A volte bisogna poter concludere lasciando solo la promessa di una nuova avventura. Il miglior modo in cui posso descrivere questa decisione è lo stesso che ho utilizzato prima, vale a dire che quando leggi il libro e guardi le fotografie, ti vengono raccontate alcune cose sulla storia, ma non tutte quante, lasciando così spazio all’immaginazione. Nel film ho cercato di catturare quello spirito attraverso le fotografie, che per l’appunto ti raccontano qualcosa che sta succedendo, ma non in maniera definitiva. Mi è sembrata una decisione giusta, presa a livello emotivo e non intellettuale.

[InG]: Dopo aver letto il libro, ha pensato subito ad Eva Green per il personaggio di Miss Peregrine? Ha pensato ad altre interpreti, data la differenza di età con il personaggio letterario?

[TB]: Come dicevo prima, ho utilizzato il libro e le foto come fonte di ispirazione. Eva, con cui ho già lavorato in precedenza, rappresenta per me tutto ciò che Miss Peregrine dovrebbe essere, vale a dire una donna forte, divertente, emotiva e strana. È sempre stata la mia prima scelta, è come se fosse un’attrice del cinema muto, in grado di incarnare tutte queste caratteristiche e di metterle in atto, cosa che trovo molto speciale. Ricordo che avevo un’insegnante, nei primi anni di scuola, che era molto bella e divertente, ed era l’unica insegnante a cui tutti i bambini prestavano ascolto. Aveva questo potere e la cosa era strana, perché tutti gli altri insegnanti che avevamo erano quasi tutti odiati da noi. Lei era proprio come Eva e i tutti i bambini facevano quello che lei diceva di fare.

[InG]: Lei è sempre stato considerato un regista visionario. Vede qualcuno, nel cinema contemporaneo, che ha diversi punti in comune con ciò che ha realizzato lei? Insomma, un visionario con caratteristiche in comune.

[TB]: Beh, cerco di non voler sapere se ci sia qualcuno come me, la cosa mi farebbe impazzire. A momenti non so nemmeno che cosa faccio io, figuriamoci se posso parlare per quello che riguarda qualcun altro. Comunque sì, penso che ci siano persone visionarie là fuori, naturalmente. Le cose cambiano di continuo, ci sono molti modi di fare cinema, si può realizzare di tutto ai giorni nostri ed è tutto in continua mutazione. Perciò questo tipo di persone esistono, ma non le paragono mai con me stesso.

[InG]: C’è una battuta di Eva Green che dice “Non si parla del futuro, a noi piace vivere nel buon vecchio presente”. Anche per lei è così, in questi tempi che stiamo vivendo? Soprattutto anche a livello cinematografico, dove le storie da raccontare sono sempre meno, a vantaggio degli effetti speciali.

[TB]: E’ un po’ come se la domanda del film fosse questa: dove ti piacerebbe vivere? Dobbiamo cercare di vivere il presente il più possibile ed è molto difficile, perché abbiamo sempre gli occhi puntati su degli schermi, facciamo un sacco di cose e guardiamo sempre al futuro. Stare nel presente è la cosa più difficile e interessante. Per quanto riguarda il cinema, i film che realizzo sono basilari e uso gli effetti speciali secondo il tipo di storia che voglio raccontare. Penso che sia sempre stato così. La gente deve usarli come degli oggetti al servizio della storia, ed io cerco sempre di mantenerla il più radicata possibile verso terra.

[ING]: Nell’arco della sua carriera lei ha lavorato a soggetti dedicati ai supereroi: prima con Batman, poi con il progetto su Superman con Nicolas Cage, mai realizzato. Questi bambini così speciali si possono paragonare a dei supereroi?

[TB]: Questo è interessante. Naturalmente con Batman sembrava di esplorare un nuovo territorio, ma ora sembra che esca un nuovo film sui supereroi ogni settimana. Quello che mi piace di questo soggetto è che se anche i bambini hanno i loro poteri, le loro specialità, alla fine sono solo dei bambini. Per me era una tematica importante. Loro si sentono strani, particolari, ma fondamentalmente hanno la stessa umanità, le stesse emozioni di tutte le altre persone del mondo.

[InG]: Ha pensato a una particolare fascia di pubblico a cui destinare questo film? C’è un target specifico oppure è destinato a tutti? Per chi l’ha pensato? 

[TB]: È interessante, perché questa domanda mi è stata fatta parecchie volte nel corso degli anni. Ho chiesto all’autore di questo libro per chi l’avesse scritto e lui mi ha risposto che, sebbene sia stato adorato da bambini e adulti, alla fine l’ha scritto per sé stesso. E questo vale un po’ anche per i miei film. Io non realizzo un film per un particolare tipo di pubblico. Mi sono state raccontate storie molto strane, del tipo “Sweeney Todd piace molto alle ragazzine di dieci anni” e io “Veramente non dovrebbero neanche vederlo”. Mi hanno anche detto che molti dei miei film piacciono ai cani, agli animali domestici. Io non so che cosa pensare, non faccio film per cani o per le ragazzine di dieci anni. Cerco di realizzare pellicole che si connettano con tutti, non mi concentro su una fascia di pubblico particolare.

[InG]: Lei compare in un cameo durante la scena ambientata al parco di divertimenti, giusto?

[TB]: È successo che, una volta finito di girare, avevo bisogno di qualche inquadratura in più, ma i soldi erano finiti. Così io e qualche altro amico siamo saliti di nascosto sull’ottovolante e abbiamo girato le parti mancanti. Ho fatto in modo che nessuno lo sapesse, non l’ho raccontato a nessuno per un po’, però… sì, ero io! Se ci fosse stato qualcun altro l’avrei fatto salire al posto mio, perché detesto guardarmi sullo schermo!

[InG]: In un mondo dove ormai è il “digitale 2.0” a farla da padrone, le favole di carta, le fiabe che ci leggevano i nonni, che fine hanno fatto? Che fine farà quello spirito?

[TB]: In realtà non lo so. Per me alcuni tipi di film, come per esempio le pellicole sui mostri, sono come favole, fiabe, sono il tipo di storie che continuano a interessarmi. È bello tornare a raccontare una storia che sia misteriosa, semplice, poetica, ed è per questo che mi sono immerso in questo nuovo materiale. Mi piace proprio la poetica di questa storia e sembra proprio provenire da una favola. Quindi per me sono sempre molto importanti, sono il tipo di storie che ho sempre cercato di raccontare.

[InG]: Come vede i ragazzi di oggi? Lei ha detto di essere stato un bambino molto particolare. I bambini oggi sono immersi da videogiochi, navigano moltissimo su internet, sono molto diversi da quelli della sua generazione. Crede che sia più difficile tirar fuori queste doti, queste particolarità nei ragazzi o è una cosa più semplice?

[TB]: È una cosa strana. Sono assolutamente d’accordo e credo che in un certo modo sia più difficile, perché oggi chiunque può dire qualsiasi cosa, può scrivere che qualcuno sia strano e quando lo fa è una persona senza nome e senza faccia. Esiste questa specie di “bullismo”, ed è una cosa che mi disturba molto. Vai ad un concerto e mentre ti godi la musica ti guardi attorno e vedi che tutti hanno un dispositivo puntato sul palco. Ammetto che alle volte ci casco anch’io, ed è ovvio che non riesco mai a godermi appieno il momento, perché lo vivo solo attraverso un dispositivo. Oggi i ragazzini giudicano il valore di loro stessi attraverso il numero di “like” che ricevono, ed è una cosa che trovo triste e allarmante.

[InG]: In “Big Eyes” gli occhi ricoprono un ruolo molto particolare nell’universo poetico del film. In “Miss Peregrine” gli occhi sono fonte di grandissima sofferenza e disagio. Sembra che in entrambi i casi abbia voluto esplorare un disadattamento visivo, ma anche gli occhi come una sorta di simbolo.

[TB]: Non me ne ero reso conto. Mi fa venire in mente quando ho lavorato a Nightmare Before Christmas, per la Disney, quando mi dicevano che non si poteva avere il protagonista completamente senza occhi! Alla fine ho dovuto rifarli più grandi del previsto. Gli occhi sono molto importanti per me, ecco perché lavoro con attori che possono far rammentare quelli del cinema muto. Possono essere in grado di proiettarsi verso gli altri semplicemente con la loro presenza, con lo sguardo. È per questo motivo che ho scelto Eva, perché è in grado di trasmettere questa forza. E poi il cinema è un mezzo visivo e gli occhi svolgono un ruolo molto importante, naturalmente.

[InG]: Può dare anticipazioni sul suo futuro, in particolar modo su “Beetlejuice 2” e il remake in live-action di “Dumbo”? Li vedremo in sala?

[TB]: Ultimamente ho elaborato una regola e consiste nel non anticipare nulla, perché per almeno due film in programmazione mi hanno fatto la stessa domanda e poi sono stati cancellati poco tempo dopo. Quando sarò sul set potrò dire che film sto realizzando. Amo il personaggio di Beetlejuice, ma se deve essere fatto bisogna farlo in un certo modo, perché il primo è un film inusuale e non capisco ancora perché abbia avuto così tanto successo, è davvero incomprensibile. Come ho detto, adoro il personaggio e ho sempre creduto che se le cose devono accadere, allora accadranno. Non posso più pianificare il mio futuro con così tanto anticipo. Come dimenticare il miglior film che non ho mai realizzato: Superman! Sarebbe stato fantastico.

 

Luca Pernisco

Roma, dicembre 2016

InGenere Cinema

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