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SANGUE ITALIANO: Intervista ad Andreas Marschall

Portrait_4[Luca Ruocco]: Già in “Tears of Kali”, ma in modo ancora più esplicito in “Masks”, il tuo cinema invia allo spettatore una serie di rimandi alla cinematografia di genere italiana [ad Argento, in primis, ma anche a Bava]. Quando è nato il tuo amore per il Genere Italiano? E quanto questi film sono stati importanti per la tua carriera?

[Andreas Marschall]: Negli anni Settanta, prima che il video fosse inventato, sono venuto in Italia in autostop, per vedere i vostri film gialli, western, polizieschi, sul grande schermo delle sale cinematografiche romane. Era tutto così eccitante…  perché era difficile per un tedesco riuscire a vedere questi film, in un’epoca senza home video o internet. Il mio primo film horror italiano fu La maschera del demonio di Mario Bava. È stato così crudele, così bello, così erotico. Poi, dopo alcuni anni ho visto Suspiria, il capolavoro di Argento, e capii che quello era proprio lo stile di orrore a me più congeniale. Niente realismo americano, un film che sembrasse un sogno! Si tratta di influenze importanti per me, ma ovviamente le utilizzo inserendoci all’interno nuovi contenuti e nuovi storie. Masks utilizza fedelmente i riti ei codici dei film che amo, ma racconta un’oscura allegoria della moderna follia per i casting, che esige dai giovani il sangue, per avere in cambio un po’ di fama!

[LR]: Un tema che collega i tuoi due lungometraggi è l’uso della violenza a scopo terapeutico… La violenza è un tassello fondamentale di oscuri metodi psicologici e artistici. Che ruolo ha la violenza nel tuo cinema?

IMG_0657[AM]: Ho partecipato io stesso ad alcuni incontri di terapia di gruppo. Perché un regista dovrebbe essere in grado di saper interpretare le cose che chiede ai suoi attori. Ho anche seguito un seminario sul metodo dell’attore di John Costopolous, al New York Actor’s Studio. Questo mi ha fatto diventare una persona più libera sia artisticamente che a livello personale, anche se a volte si è trattato di vivere esperienze dolorose. Nelle culture primitive, i giovani della tribù devono passare attraverso riti di iniziazione difficili e violenti che segnano il transito dalla fanciullezza alla vita adulta. Forse qualcosa di questi riti si può ritrovare anche nel genere horror. In Tears of Kali e in Masks, la violenza ha qualità trascendenti, non è solo qualcosa di nichilista. Il mio intento non è quello di lasciare il mio pubblico in depressione!

[LR]: Se io dovessi inquadrare il tuo “Masks” all’interno della nostra cinematografia di genere, lo inserirei di certo nel flusso degli anni ’70, e non solo per i richiami a Suspiria, ma anche per l’atmosfera morbosa che si respira, da thriller per certi versi anche erotico… Se tu dovessi cercare nelle tuo fonti d’ispirazione titoli e registi del cinema tedesco, quali e chi sarebbero?

[AM]: C’è un certo tocco e il respiro di Edgar Wallace in Masks. E qualcosa dei vecchi film del cinema muto tedesco come Dr. Mabuse e Nosferatu. Soprattutto nell’aspetto di Gdula e alcuni set scenografici del teatro che, credo, possano ricordare i set del cinema muto.

Stella_3_300[LR]: Fondamentale in “Masks” è l’ambientazione teatrale e, anche in questo caso, il richiamo a “Suspiria”, ambientato in un’accademia di danza, è più che palese. Da cosa nasce un parallelismo così forte?

[AM]: La prima cosa è stata la scuola stessa! Ho insegnato regia cinematografica all’interno della Reduta Drama School di Berlino, che è gestito da questa donna carismatica che interpreta la seconda dirigente di Masks, Teresa Nawrot. Negli anni settanta era l’assistente del leggendario e controverso maestro di recitazione Jerzy Grotowski, che lavorò nelle trasgressive comuni-teatrali in Polonia e a Roma. Passeggiando per i corridoi bui della Reduta, sentendo le urla provenienti dagli esercizi di recitazione, mi sono ricordato di Suspiria, Opera e Deliria di Soavi. Un giorno proposi a Teresa Nawrot: “prestami la scuola e i tuoi studenti durante l’estate e le vacanze invernali, e girerò un qui un grandissimo film!”.  Lei si innamorò dell’idea. Così ho afferrato al volo la possibilità di girare Masks, senza alcun finanziamento, ma solo grazie a investitori privati.

[LR]: Hai avuto modo di vedere qualche film più attuale della nostra cinematografia di genere? Se sì, cosa ne hai pensato?

Stella_im_Bett[AM]: Penso che i teen-horror e i torture porn siano oramai a corto di materia prima. Dobbiamo cercare di trovare nuovi modi di raccontare l’horror, magari rifacendoci alla tradizione europea. Anche se è triste che ci siano così pochi film di genere italiani, ho amato molto Morituris di Raffaele Picchio, che rappresenta un forte ritorno all’orrore italiano, senza compromessi. Mi è piaciuto La sconosciuta, per la sua forte atmosfera da giallo. E non vedo l’ora di vedere altri film italiani come il Tulpa di Federico Zampaglione! E trovo la nuova generazione di registi francesi e spagnoli estremamente interessante. Martyrs è uno dei miei film preferiti di sempre. Dall’Inghilterra arriva l’eccellente Inbred, e dalla Germania Urban Explorer. In Europa, lentamente, una nuova generazione di registi di genere sta nascendo… contro ogni probabilità!

[LR]: Puoi raccontarci dei tuoi progetti futuri?

[AM]: Ho intenzione di collaborare con Gianluigi Perrone, sceneggiatore e produttore di Morituris, su un film ispirato a Fulci e Avati, che potrebbe essere girato nel sud Italia. Ancora una volta, facendo rivivere la tradizione attraverso la nuova narrativa contemporanea.

Luca Ruocco

InGenere Cinema

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